Il pianista croato Aljosa Jurinic ha partecipato al concorso Chopin di Varsavia. Cultweek lo aveva ascoltato allo Spazio Teatro 89 nello scorso febbraio
A febbraio avevamo parlato di questo giovane pianista in concerto allo Spazio Teatro 89. Ebbene, avevamo fiutato giusto: Aljosa Jurinic si è infatti distinto andando in finale al concorso Chopin di Varsavia, il più prestigioso al mondo, concorso che incoronò nel 1960 Maurizio Pollini e nel 1965 Martha Argerich.
Vincere un concorso pianistico internazionale spesso non attesta il reale valore artistico di un musicista. I motivi sono molteplici, primi tra tutti i giochi di potere all’interno delle commissioni giudicatrici e il metro di valutazione che molte volte premia la costanza invece della genialità.
Ci sono però delle eccezioni, come Aljosa Jurinic, sentito l’8 febbraio scorso allo Spazio Teatro 89 (l’auditorium polifunzionale a sud di Milano prodigo di iniziative culturali).
Il suo curriculum sembra quello di tanti altri giovani talenti: classe ’89, croato, vincitore di numerosi premi (“Encore! Shura Cherkassky”di Milano, “Robert Schumann” di Zwickau, “Luciano Luciani” di Cosenza), perfezionamento all’interno di prestigiose istituzioni (Fiesole, Università di Vienna), esibizioni plurime in Europa in qualità di solista e con orchestre. Ma c’è qualcosa di più.
Il recital di Jurinic, interamente dedicato alle musiche di Chopin, è stato una piacevole sorpresa.
L’inizio della Barcarola op. 60 mette in luce da subito la sua grande sensibilità. Nel cullante accompagnamento della mano sinistra sembra non esserci attacco al tasto, come se Jurinic avesse tra le mani uno strumento ad arco. Il tasto scende e risale lentamente, le note si fondono l’una nell’altra e arrivano all’orecchio più tardi rispetto a quando ci aspetteremmo. Nel proseguio del brano è sempre più evidente la notevole maestria del pianista croato nella dinamica del piano: si passa dal dolcissimo fluire iniziale, al lirismo quasi ipnotico della sezione centrale, fino al cristallino arabesco finale sopra l’ultimo frammento melodico cantato sommessamente dal pollice della mano sinistra.
La sonata n° 3 op. 58, uno dei brani più ardui del repertorio chopiniano, rappresenta, invece, uno scoglio tecnico superato ma ancora da maturare musicalmente. I notevoli cambi prospettici del primo movimento non sono sempre così convincenti, come anche le sezioni più drammatiche soprattutto del primo e del quarto movimento non vengono ancora affrontate con quello spirito disinibito che ne amplierebbe il vigore.
Conclude il concerto il notturno op. 55 n° 2 e una selezione di studi dall’op. 25, dove Jurinic da prova di grande capacità nella gestione delle parti interne e mette ancora più in luce una tecnica trasparente, mai fine a se stessa e sempre al servizio dell’idea musicale.
Se si deve rimproverare qualcosa a questo giovane pianista è forse l’atteggiamento ancora troppo da “esaminando”. L’abito non fa il monaco certo, ma il rapporto con la tastiera e il pubblico ha ancora il retrogusto dell’esame: in certi momenti si sente un’eccessiva prudenza di fronte al rischio di “ciccare” qualche nota o di sporcare un passaggio tecnico (e che sarà mai!) e questo un po’ disturba. La stoffa però c’è, eccome se c’è.
Foto Aljosa Jurinic