In “La stanza accanto”, Leone d’Oro all’ultima mostra di Venezia, il grande regista spagnolo, giunto a 75 anni e 25 film, parla della dignità della morte e della necessità di una legge per l’eutanasia. Che nel suo paese c’è e in Italia no. Lo fa raccontando la commovente prova di solidarietà di due amiche (Julianne Moore e Tilda Swinton, straordinarie, da oscar ex-aequo) che scelgono di affrontare insieme la fine di una delle due. E bisogna guardare ai mutamenti, agli scatti, alle malinconie che passano negli occhi delle protagoniste. In un un formidabile esempio di neo realismo sentimentale.
Arrivato ai 75 anni e ai 25 film, Pedro Almodòvar si può permettere di girare un film straziante in modo rigoroso e civile, quasi senza far piangere ma facendo se mai pensare alla tristezza, all’amicizia, al Tempo che se ne va e al miracolo di un rapporto tra due amiche che si rinnova nel secondo tempo delle loro vite. La stanza accanto, Leone d’oro a Venezia, è un film dolce e bellissimo, che ragiona sulla dignità della morte e la necessità di una legge per l’eutanasia, che la Spagna è stato il quarto paese europeo a promulgare e di cui noi siamo come sempre orfani. Della famiglia, don Pedro de la Mancha aveva parlato molto – e in Volver c’era il fantasma della madre amata – ma qui la sua sfera affettiva si posa su un rapporto nuovo, quello di una scrittrice di successo che, alla presentazione del suo libro sulla paura di morire alla libreria Rizzoli di New York, in un mood radical chic alla Woody Allen, viene a sapere della malattia terminale di una cara amica, va a trovarla in ospedale e si sente proporre di starle vicino durante un viaggio che sarà poi al termine della notte, cioè le confida l’eutanasia e le chiede una complicità.
Ma non è un film dibattito, ci sono silenzi e sguardi che valgono più delle parole, il regista toglie alla materia scottante ogni possibile residuo melodrammatico raccontando una vitale amicizia senza via d’uscita in un’atmosfera quasi fiabesca. Ispirandosi al romanzo di Sigrid Nunez (Attraverso la vita), Almodòvar porta alle estreme conseguenze uno dei suoi temi preferiti, la complicità femminile (cui aveva dato uno sbocco civile e politico in Madres paralelas), innescando il discorso sul finis vitae (ricordarsi della torera in coma di Parla con lei) nel raccontarci due amiche che si ritrovano quasi per caso ma il cui affetto era solo invisibile ma covava sotto la cenere.
Quasi una storia d’amore e di memoria, tanto che la donna malata le chiede, una volta giunti in “vacanza”, di starle nella stanza accanto, così si accorgerà dalla porta rimasta aperta quando deciderà di togliersi la vita con una letale pillola trovata nel mondo del “dark web”. Ingrid sa che è anche una scelta illegale, si consulta con un amico avvocato, ma accetta accetta, parte per un bosco segreto vicino Woodstock. Martha è esausta, non ha più voglia né forza di combattere, è stata inviata di guerra, ha anche una figlia spesso lasciata sola. Le due donne ritrovano un’antica alleanza e si confessano anche di aver avuto un amante in comune, ma è un peccato veniale certamente. Questi ultimi giorni dell’umanità, Pedro li racconta guardando in faccia la morte con la costanza della volontà, senza retorica, senza urla, emozionando per la lucidità con cui descrive la psicologia incrociata di due donne in un momento molto particolare.
E ci sono certo i ricordi che hanno resa ricca la vita, si parla dei libri di Faulkner ed Hemingway, delle comiche di Buster Keaton, del finale innevato di The dead, ultimo racconto di Gente di Dublino di James Joyce ed anche ultimo splendido film di John Huston. Il film si snoda e si arrampica, con tappe espressive memorabili, sui volti e i passaggi di coscienza di due strepitose attrici, Julianne Moore e Tilda Swinton, due Oscar ex aequo, nel primo film in lingua inglese del regista spagnolo dopo La voce umana di Cocteau: bisogna guardare ai mutamenti, agli scatti, alle malinconie che passano invisibili negli sguardi delle protagoniste, è un formidabile neo realismo sentimentale, fatto di piccole osservazioni, quelle cui spesso Pedro ci ha abituato fra molte donne in crisi di nervi e che qui raggiungono ciascuna un finale di partita.
Niente c’è del repertorio classico del grande regista che ha lanciato la movida gender in Spagna, nulla di colorato e grottesco, non si cambia sesso e c’è la storia di un padre scomparso. Ma il film è tutto nel sorriso dolce di questa atroce scommessa, morire con dignità, solo chiudendo la porta. Se ci saranno problemi legali, è ancora la poesia di Joyce che viene in aiuto con la neve, mentre ogni scelta cromatica e visiva concorre all’armonia di un’opera ispirata, e a tutti necessaria, di un regista che oggi ha diverse esigenze espressive. Non possiamo che ringraziarlo per questa rappresentazione così pura, in cui non mancano discorsi sui cambiamenti climatici segnati sul conto della Co2 e della destra.
La stanza accanto, di Pedro Almodovar, con Tilda Swinton, Julianne Moore, John Turturro, Alessandro Nivola, Melina Matthews, Vicky Luengo, Juan Diego Botto, Raul Arévalo, Alex Hogh Andersen, Esther McGregor, Anh Duong, Bobbi Salvor Menuez