Al Forum gli Alt-J fanno il pieno. La neonata band inglese esce dalla nicchia e si rivela capace di comunicare con un’intera generazione
È proprio il caso di definirla un’onda imponente quella che con gli Alt-J ha investito Milano nell’uggiosa serata di San Valentino. Undicimila persone hanno accolto al Forum di Assago con calorosa partecipazione il gruppo indie folk di origine britannica che dal 2012 con l’album An awesome wave ha entusiasmato milioni di persone in tutto il mondo.
Da subito quello che colpisce è la sintonia tra il pubblico e la band che raggiunge il suo apice durante l’esecuzione di Warm Foothills: quando una miriade di accendini e cellulari illuminano il Forum sulle note della canzone più delicata del nuovo album This is all yours, l’impressione è di uno spettacolo nello spettacolo dove la comunicazione tra band e fans passa per musica e simboli.
Ci si sente come trasportati in una dimensione sognante, cullati dalla voce magnetica e suggestiva di Joe Newman in perfetto dialogo con Gus Unger-Hamilton, virtuoso tastierista e immancabile seconda voce. Il pubblico ondeggia, scalpita, si lascia trascinare dalle percussioni, un ritmo che spazia dall’hip hop al folk grazie alla maestria di Thom Green, la cui maglia porge un tributo ai mitici Metallica.
È un genere musicale nuovo quello degli Alt-J: un pop dalla forte ritmicità arricchito da colori elettronici, che svelano una sperimentazione sonora senza sacrificare l’immediatezza dell’ascolto. La continuità tra i brani, che sul piano percettivo rende gli Alt-J molto riconoscibili, nasconde invece a livello compositivo confronti e contaminazioni con una rosa molto varia di generi, dall’Alternative Rock, al Progressive Rock e all’Indie Pop. Insomma, un misto insano tra Radiohead, The Maccabees e Active Child, con qualche acido in più a rendere surreale l’atmosfera.
Presi dall’onda, quasi non si nota l’assenza di Gwil Sainsbury, bassista degli esordi e cofondatore del gruppo, che nel gennaio del 2014 ha lasciato la band per motivi personali. Voci di corridoio vogliono che la ragione risieda proprio nell’inatteso ed esplosivo successo.
Provando a digitare insieme sulla tastiera Alt e J sorprendentemente compare la lettera greca Δ (delta), in linguaggio matematico sinonimo di cambiamento, che rappresenta il mutamento dallo stato iniziale a quello finale all’interno di un sistema. Forse inconsapevolmente gli Alt-J rappresentano proprio una metafora di quel cambiamento nella scena musicale che vuole i gruppi indie confinati in spazi angusti, applauditi da un pubblico di nicchia, schiacciati dai generi mainstream.
Probabilmente le migliaia di giovani, quasi tutti tra i 20 e i 30 anni, presenti sabato sera hanno gusti musicali tra i più svariati ma per una sera si sono trovati d’accordo nel condividere un’esperienza così coinvolgente da far avvertire una profonda interconnessione generazionale.
Da Hunger of the pine e Nara, singoli di punta del nuovo album, passando per Fitzpleasure, Taro e le tracce che li hanno resi celebri, la scaletta copre quasi del tutto la seppur breve discografia, punteggiata da citazioni letterarie e cinematografiche come per Matilda la bambina del film Lèon di Luc Besson e The Gospel Of John Hurt dedicata a uno degli interpreti di Alien, storico film di Ridley Scott.
Sul finale non poteva mancare ovviamente Breezeblocks con il pubblico che all’unisono intonava «Please don’t go/please don’t go/I love you so/I love you so» tra giochi di luce e proiezioni psichedeliche.
Per chi si fosse perso questo concerto da 10 e lode, gli Alt-J torneranno in Italia quest’estate.