La quarta parte della saga storico-esistenziale di Edgar Reitz ci riporta, a metà dell’800, a Shabbach, dove tutto partì: uno splendido film evento di 4 ore
“Heimat è un vocabolo tedesco che non ha un corrispettivo nella lingua italiana. Viene spesso tradotto con “casa”, “piccola patria”, o “luogo natio” e indica il territorio in cui ci si sente a casa propria perché vi si è nati, vi si è trascorsa l’infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti”. (Wikipedia).
Dal 1984 la parola tedesca Heimat è inevitabilmente legata a doppia mandata al cineasta Edgar Reitz. Ogni appassionato che si rispetti conosce infatti le ambiziose epopee televisive sulla storia della Germania ideate e dirette dal regista tedesco, un progetto di cui i racconti, divisi in episodi, sono entrati di diritto nella storia dell’immagine.
Nel 2013, a sette anni dal quarto capitolo Heimat-Fragmente: Die Frauen, venne presentato fuori concorso alla 70ª Mostra di Venezia L’altra Heimat – Cronaca di un sogno, unico della serie ad essere ideato come lungometraggio singolo (sia pure di circa 4 ore) da proiettare nelle sale cinematografiche. Ma nonostante il clamore per l’evento, la pellicola arriva nei cinema italiani, colpevolmente, con ben due anni di ritardo, e con una distribuzione assai ridotta (ora è al cinema Oberdan di Milano fino al 15 aprile).
Il film è ambientato a metà del XIX secolo nel villaggio rurale di Shabbach, nell’Hunsrück, dove tutto è partito, dato che lì si svolgeva il primo Heimat, circa 50 anni dopo. Il luogo è duro, impervio, poco amato dai suoi poveri abitanti, tanto che la stragrande maggioranza cerca di emigrare. Il giovane Jakob Simon (Jan Dieter Schneider), vorace lettore figlio di un fabbro, vola con la fantasia oltreoceano sognando di trasferirsi, come tanti altri che vede partire dal paese, per conoscere gli indiani d’America, di cui è molto appassionato. Purtroppo le disavventure della vita ostacoleranno il suo ambizioso progetto.
Quella che può essere giustamente considerata la più importante saga d’autore del cinema europeo nel dopoguerra, trova qui non un semplice prequel, ma la preziosa conclusione di una parabola che non poteva che finire con l’emigrazione. Perché l’allontanamento volontario dalla patria è un viaggio inevitabile che permette ai personaggi (e allo spettatore) di crescere, dopo anni di doverosa introspezione. Si muovono prima con la mente, poi con il cuore e infine anche fisicamente, i protagonisti del film, verso un ignoto futuro, guidati sapientemente dalle mani di Reitz, capace di tingere pessimisticamente di nero l’intero racconto.
Grazie a un bianco e nero toccante, una regia che fa del long take un assoluto punto di forza e una sceneggiatura perfetta nei minimi dettagli, L’altra Heimat – Cronaca di un sogno è uno dei migliori film della stagione, da non mancare assolutamente. Bisogna semplicemente stringere un patto con Reitz: solo accettando l’infinita lunghezza del plot si potrà coglierne l’essenza, restando storditi ed estasiati sui titoli di coda. Il tutto è suggellato da un cast in stato di grazia e da una colonna sonora che, discretamente, aiuta le immagini a diventare ancor più sconvolgenti.
I rari (ma preziosi) inserti colorati sono il tocco dell’artista, linee guida cromatiche necessarie, suggestive e sicuramente gradite perché permettono allo spettatore di orientarsi e direzionare il proprio sguardo in una impegnativa orgia semantica. Nel film vengono affrontati di petto temi come la fine del mondo, il progresso, le relazioni amicali e sentimentali, la morte, la volontà di allontanarsi e lasciare il proprio nido. Una sequela interminabile di situazioni che in fondo descrivono, attraverso il cinema, una sola cosa: l’esistenza.