Dopo una lunga pausa di riflessione gli LCD Soundsystem sono tornati con il loro quarto album, “american dream”
«Hai sentito che album il nuovo degli LCD Soundsystem?»
«Di chi? »
Meno male che esistono amici che se ti perdi qualcosa ti riportano sulla retta via. Così è nato il rapporto tra me e gli LCD Soundsystem; con il loro nuovo album american dream. Con i picchiettii iniziali di Oh baby e la storia di un amore tormentato e altalenante che sguscia tra beat moderni e tastiere anni ’80.
American dream è un disco oscuro, dark, sia nei testi che nelle musiche; i dieci brani – frutto del genio tormentato di James Murphy – trasmettono tormento, pessimismo e disagio, che trovano la loro massima espressione nella melodia ipnotizzante di I used to, che recita in continuazione “But that’s all wrong, that’s all gone” e si chiude con un giro di chitarra che potrebbe ruotare in eterno prima della frase finale che lascia veramente poco all’immaginazione: “I’m still trying to wake up, I’m so tired to wake up”. Ma è in Tonite che troviamo il passo più iconico del pensiero del Murphy uomo: “And life is finite, but shit it feels like forever”.
How do you sleep? è la chicca dell’album. Parte lenta, un ritmo di batteria costante che potrebbe durare per l’eternità, poi la voce di James Murphy (“I can’t hear you, I can’t hear you anymore”) squarcia i battiti senza togliere la delicatezza e l’ipnosi di quel ritmo, ora percorso anche da leggeri e visionari synth elettronici.
La title track american dream è invece, soprattutto, eleganza musicale. Il primo pensiero che mi è balenato in testa al suo ascolto è stata una visione. La band sul palco della Roadhouse di Twin Peaks, l’immagine filtrata da una patina opaca, il pubblico sotto di loro che balla ondeggiando le spalle a destra e sinistra, una coppia di giovani destinata a dividersi seduta a un tavolo sudicio di legno che si bacia, l’inquadratura che torna sulla band con le parole che raccontano di come il sogno americano rimanga sempre tale e non lo si possa combattere, e poi… i titoli di coda che scendono dall’alto a sancire la fine della puntata, la musica che si stoppa, ma che nella realtà continua, come il concetto che vuole far passare. American dream è un condensato di arte in tutte le sue derivazioni.
L’ultima traccia dell’album è Black screen, e racchiude in dodici minuti l’essenza di tutto il lavoro con una confessione intima e sincera del proprio stato da parte di James Murphy (“I’m bad with people things, but I should have tried more”); una ballata new nave che ci lascia con le parole: ”You could be anywhere on the black screen”, prima di scemare lentamente nei minuti finali con una melodia disturbante, lisergica e visionaria che va a toccare i confini di quei mondi apparentemente lontani, quali sono i Joy Division e gli Explosions in the Sky.
La certezza che mi è rimasta dopo aver ascoltato il disco dall’inizio alla fine, è quella di avere tra le mani uno dei migliori album usciti negli ultimi anni, che ti cattura fin dal primo ascolto e non ti stanca mai, nemmeno dopo averlo sentito in ripetizione. Un disco pieno di contaminazioni, viscerale, ipnotizzante, diretto e vero. Un viaggio nell’oscurità, in quelle paure e derive pessimistiche nelle quali tutti siamo avvolti, ma che poco spesso ammettiamo, e che Murphy sa cogliere in tutte le sue sfumature, a volte anche con amara ironia.
Dopo la divisione del gruppo nel 2011, e questo ritorno col botto, dobbiamo solo augurarci che American dream non sia una sorta di testamento musicale degli LCD Soundsystem, perché la musica stessa, prima di noi, ha bisogno di loro, e saremo pronti anche a perdonare una pausa altrettanto lunga, se poi l’effetto finale sarà la genesi di un album di questo livello.
Immagine di copertina di W