La blogger tunisina che su Facebook si è ritratta a seno nudo racconta: del suo nuovo libro, dell’uscita da Femen, della libertà di sé pagata a caro prezzo
«Sono uno spirito libero». Amina Sboui dice di essere semplicemente questo. Non una musulmana, non una femminista, non un’anarchica né un’eroina. O meglio: Amina è o è stata un po’ di tutto questo, ma nessuna definizione può bastare a raccogliere il senso della sua lotta contro ogni forma di integralismo.
La sete di libertà: questa è la molla che, nella primavera del 2013, ha spinto la blogger tunisina a compiere un gesto capace di renderla famosa in tutto il mondo e di cambiarle ineluttabilmente la vita.
Amina, classe 1994, ha scelto di affidare l’avvio della sua protesta ai social network. A stravolgere la sua esistenza di studentessa liceale, cresciuta in una famiglia borghese e conservatrice, sono bastati pochi secondi: quelli che le sono serviti per pubblicare sulla sua pagina Facebook una foto che la ritraeva a seno scoperto.
A coprire il suo corpo, immortalato da quello scatto, solo una scritta in caratteri arabi: «Il mio corpo mi appartiene». Oggi, questa frase è diventata il titolo del libro che raccoglie la sua biografia. La giovane autrice lo ha presentato al pubblico milanese, ospite della Casa delle Donne di via Marsala. Accanto, a intervistarla e a proporre spunti di riflessione, la giornalista Giuliana Sgrena.
Il seme della sua ribellione, trasformatosi col tempo in anelito di giustizia, è germogliato nella quotidianità di un’adolescente insofferente a ogni forma di discriminazione : «Quando ero piccola – racconta Amina – mio cugino mi ha scoperto mentre fumavo e l’ha subito riferito a mia madre. Lei mi ha sgridato e io ricordo di essermi arrabbiata moltissimo. Non tanto per i suoi rimproveri quanto perché anche mio cugino fumava ma a lui, in quanto maschio, la mia famiglia consentiva ogni cosa››.
Oggi Amina ha vent’anni e vive a Parigi. Probabilmente, non potrà più tornare nella sua terra natale. Nonostante le intimidazioni ricevute in seguito alla diffusione della sua immagine a torso nudo, infatti, ha scelto di continuare la sua protesta: nel maggio del 2013, ha scritto la parola Femen sul muro del cimitero che si trova accanto alla moschea della città santa di Kairouan. Un gesto che le è costato 75 giorni di carcere.
Lo sguardo perennemente rivolto verso il basso e il tono di voce compassato, quasi freddo, lasciano intravedere la sua sofferenza. Le violenze subite da piccola, i duri contrasti con una madre incapace di comprendere la sua insofferenza alle diseguaglianze, i mesi di prigionia e le mai cessate minacce di morte hanno ferito il suo spirito ribelle. Nulla, però, le ha tolto la voglia di lottare in nome della libertà.
Amina, al contrario, non ha esitato a scendere in campo in difesa dei suoi stessi oppositori: «Qualche mese fa – ricorda accennando un sorriso – ho protestato in topless contro la condanna a morte di alcuni jihadisti. I poliziotti mi guardavano e mi chiedevano come una donna a seno nudo potesse difendere i diritti degli integralisti islamici».
A poche settimane dall’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, però, quasi inevitabilmente, la vicenda di Amina valica i confini della dimensione individuale e la sua vita finisce per acquistare un forte valore simbolico. Nella sua biografia, infatti, sembra attuarsi la piena realizzazione del principio di tolleranza.
«Ho lasciato le Femen perché non condivido le loro irruzioni nei luogo di culto›», ha spiegato a proposito della sua uscita dal movimento femminista di cui è stata attivista. «Rivendico la mia libertà ad essere atea ma, allo stesso tempo, trovo ingiusto ostacolare la libertà degli altri a pregare e a professare la propria fede».
La strage nella redazione del settimanale satirico, d’altra parte, l’ha profondamente scossa. Parlando dei disegnatori uccisi a Parigi, con una lucidità disillusa che stride con la sua età anagrafica, Amina abbassa gli occhi e confessa: «Non credo che morirò nel mio letto. Chi ha osato provocare gli integralisti islamici ha sempre pagato con la vita il prezzo della sua libertà. So che per me sarà lo stesso».
Il mio corpo mi appartiene, Amina Sboui, Giunti Editore, 2015
Foto: Giunti Editore