Al Parenti una giovane compagnia offre uno spettacolo “in divenire” in cui ogni sera alcuni spettatori si propongono come protagonisti incappucciati di Shakespeare…
Amleto, nel pastoso – e spesso confuso – gioco di culture, rievocazioni e citazioni che l’hanno riguardato nel corso dei secoli, è forse la tragedia buffa per eccellenza. Il forse è d’obbligo: se ne è detto talmente tanto che provare a ragionare per categorie, tantomeno per definizioni, è impresa assai ardua. Come potete leggere, del resto, chi scrive ha perfino tenuto fuori – fino a ora – il nome di William Shakespeare.
ColletivO CineticO, officina dinamica e sperimentale di studio sulle relazioni sceniche e performative nata nel 2007 a Ferrara sotto volontà artistica della regista Francesca Pennini, presenta la sua visio-versione di Amleto come «meccanismo letale» (cit. da sito ufficiale della compagnia). Di letale, onestamente, c’è ben poco. Così come c’è ben poco della tragedia di Shakespeare – ed è questa l’intuizione forse più azzeccata della Pennini, alla guida del concept e della drammaturgia, stesa a quattro mani insieme ad Angelo Pedroni.
Amleto, per ColletivO CineticO, non è soltanto il principe di Elsinore, il figliolo arrabbiato dell’adultera Gertrude, il fidanzato di Ofelia la matta. È, più che altro, un ruolo da assegnare. A chi? A quattro candidati, che – diversi replica dopo replica e ognuno con un sacco calato a celare il viso – ambiscono all’agognato titolo, sottoponendosi a prove impegnative studiate in due settimane di preparazione. A scegliere il vincitore è chiamato il pubblico, attraverso il meccanismo – ormai nostalgico, quando non vintage – dell’applausometro. Roba da 2003, insomma.
Ed è proprio il sostrato di quegli anni lì, gli anni dei reality show, del giudizio insindacabile (e spesso tele-votivo) dell’audience, a ispirare il lavoro della Pennini; sul palco spoglio e carico di carbonato di calcio del foyer del Teatro Parenti – ove lo spettacolo è stato presentato, ancora sotto forma di studio, già nel 2013 in occasione del festival Tfaddal – si respira un’atmosfera tragica e funerea, che riveste i corpi di Angelo Pedroni, Carmine Parise e Stefano Sardi. I tre si muovono sul palco come vallette specializzate in stacchetti marmorei, adibiti a riempire i vuoti degli intermezzi e a interagire, in azione, con i quattro candidati. Tengono le fila – metaforiche e non – di un gioco alla tortura che sembra non lasciare scampo, e che impegna la mente e il corpo in misura egualmente impegnativa.
Più che letale, questo Amleto è divertente e in continua evoluzione. A seconda del candidato sotto i riflettori, la declinazione che l’Amleto di ColletivO CineticO può assumere è di natura del tutto indefinita. La tragedia del Bardo è assente, com’è giusto che sia; sopravvive soltanto nei residui formali delle istruzioni affidate agli aspiranti protagonisti. E il risultato finale, ci sia condonata questa labilissima definizione, è più ironico che corrosivo, non tanto provocatorio quanto divertente e ai limiti della naïveté. Ingenuo? Non più tanto. Vogliamo essere buoni, e immaginare che il discorso di ColletivO CineticO non contempli alcuna considerazione – ormai logora, altro che snobismo – sul meccanismo mangia-cervello della televisione, dei reality, et similia, quindi passeremo oltre. Al di là del riuscito confronto tra le movenze luttuose dei tre valletti a suon di Shostakovich e le parentesi di sardonico entertainment affidate ai candidati, però, manca quel senso di inadeguatezza, turbamento e straniamento (sic!) forse – ancora una volta il forse è d’obbligo – ricercato nelle intenzioni. Con un tipo di lavoro così, però, anche tentare a fare un ragionamento critico assume sfumature sempre più sfaccettate, poco definibili e probabilmente non utilissime. Tanto vale, dunque, divertirsi un po’. O perlomeno provarci.