Con questo spettacolo Caryl Churchill vuole rompere l’algoritmo, combattendolo dall’interno, delocalizza l’home dei nostri social network preferiti mostrandocela nuda e cruda su palcoscenico
La scrittura simbolista e tagliente di Caryl Churchill colpisce ancora: Amore e Informazioni è uno spettacolo scritto con i ritmi e i colori dei social network. Non è la classica denuncia à la Black Mirror di una tecnologia sempre più presente e sempre più potente nelle vite umane – e neppure una pubblicità progresso che mostra i pericoli del rapporto morboso tra esseri umani e smartphone.
È un testo composto da cinquantasette, sì, cinquantasette, scene di vita quotidiana, che durano pochi secondi o pochi minuti. L’impressione che si ha vedendo questo spettacolo è quella di scorrere la home di Tik Tok, passando da un video all’altro. Eppure tra una hit pop, colpi di scena e colpi di maschera, vestiti e luci colorate e testine di topo e di maiale che ballano in giro, ogni tanto arrivano delle bastonate sui denti: esperimenti sugli animali, violenza domestica, gravidanze precoci, criminalità organizzata, dialoghi con Dio.
Servono oggi spettacoli come Amore e informazioni, a otto anni dalla morte di Tiziana Cantone, suicida dopo la diffusione di un suo video privato, e a soli quattro anni dall’istituzione della prima legge contro il revenge porn in Italia. È vero: questo spettacolo non tratta direttamente il tema del porno e della sessualità ma fa un’operazione più sottile.
Mostra cinquantasette scene di vita quotidiana, cinquantasette situazioni tra le più varie e disparate, in cui la “questione tecnologica” non è quasi mai neanche nominata direttamente, scene che se le vedessimo tra le IG stories delle persone che seguiamo guarderemmo passivamente, ma viste a teatro, sul palco, senza schermi, inscenate nella stessa stanza in cui siamo seduti, viste insomma, con la forza del teatro, la visualizzazione non è più passiva.
Grotowski sosteneva che il montaggio di uno spettacolo si fa nella testa di chi guarda, convocato a realizzare un puzzle con questi 57 pezzettini in apparenza allegri e leggeri ma che in realtà mostrano tutt’altro.
Mostrano che viviamo in una società in cui possiamo sapere tutto ma non vogliamo sapere niente, che siamo pieni di informazioni ma non sappiamo spiegare il dolore, che pure il sesso è uno scambio di informazioni, che la famiglia è il luogo più facile in cui avere dei segreti, che le dita che mandano un messaggio violento appartengono alle stesse mani che ammazzano, che dal clic del mouse a quello del grilletto è un attimo, che ogni telefono è un telefono pubblico, che la rete in cui viviamo è sia una rete di sicurezza che una trappola da cui non si può uscire, che non condividiamo niente di vero, che è impossibile isolarsi nell’iperconnessione in cui viviamo, che una bugia condivisa diventa verità, che a volte la nostra parte più sensibile è il touschscreen.
Sono tante informazioni, vero? Più si va avanti però più si nota un tema che lega tutti questi personaggi, umani o animali: la memoria. L’identità di un essere umano risiede nella sua memoria, nei suoi ricordi e nei ricordi che gli altri hanno di lui. Ma cosa succede quando la memoria che ci definisce agli occhi di tutto il mondo (potenzialmente) è quella digitale? Quella di ogni foto, di ogni post, di ogni notizia pubblicata sul suo conto vera o falsa che sia. E non è possibile nascondersi. E quando è l’uomo a perdere la memoria, perché è passato troppo tempo o per una patologia? Internet diventa la banca dei ricordi, e la cassaforte è sempre aperta.
Marina Bianchi mette in scena questa vita in uno spazio bianco, che può sembrare uno studio televisivo, che cambia colore per ogni scena grazie alle luci led, e Corinna Agustoni, Mauro Barbiero, Elena Callegari e Chiara Ameglio sono bellissimi nelle loro divise comode e colorate, dialogano col pubblico, coinvolgono, sentiamo il loro calore e la loro energia, viene voglia di ballare e giocare con loro. E forse per una volta viene davvero voglia di provare a staccarsi un attimo dal telefono, dalla rete, viene voglia di provare ad avere una vita un pochino più analogica… ma magari dopo aver cercato la playlist di questo spettacolo su Spotify.
foto © Laila Pozzi