Un volume edito da Skira ripercorre la lunga, innovativa storia di comunicazione e il rapporto forte con il mondo del cinema dell’azienda dell’iconico Bitter che ora guarda avanti e usa, per omaggiare Fellini, l’intelligenza artificiale
La fede, un certo tipo di fede, si tramanda. Non parlo di quella religiosa che, anzi, viene spesso abbandonata dai figli. Parlo di una fede diversa, tipo quella nella squadra del cuore di tuo padre, nel mio caso l’Inter. O in un bitter, per esempio il Bitter Campari, anche quello il preferito di mio papà.
E sarà sicuramente un caso che mio marito fosse a sua volta un accanito tifoso nerazzurro. E un drogato di bitter Campari che scovava, pagandolo anche a carissimo prezzo, nei Paesi più distanti e esotici. Ma la sua passione veniva da ancora più lontano: suo nonno Enrico detto Paicco (contrazione di papà Enrico) aveva lavorato per molti anni come chimico alla Davide Campari. Lì aveva appreso la formula segreta che ancora oggi rende inconfondibile il bitter più famoso del mondo. Poi fece la più grande sciocchezza della sua vita: forte di quel segreto fondò una sua aziendina e si mise a produrre la copia conforme del prodotto originale. Ma gli andò malissimo: anche se identico nel sapore e nel colore (il rosso ambrato veniva e credo venga ancora dalla polvere di cocciniglia) il suo bitter, del quale non ricordo il nome, non era il Bitter Campari. Leggenda vuole che, comunque, una volta fallita l’azienda continuò a produrne una piccola quantità per uso famigliare, da cui la dipendenza di suo nipote nonché mio consorte.
Tutto questo mi è tornato in mente sfogliando il prezioso volume Campari e il cinema curato da Gianni Canova e edito da Skira: un viaggio fra due mondi, quello dell’arte visiva e quello di un marchio fra i più forti e riconoscibili del pianeta, che parte agli inizi del Novecento con i primi celebri manifesti di Leonetto Cappiello e Fortunato Depero, continua con l’ideazione dell’iconica bottiglietta del Campari soda (1932, sempre Depero) e trova il suo culmine nel connubio fra pubblicità e cinema d’autore con il celebre spot di Federico Fellini (1984). Un connubio che è continuato con la collaborazione di importanti registi come Matteo Garrone, Stefano Sollima, Paolo Sorrentino.
“Davide Campari intuì con anticipo l’importanza della comunicazione coinvolgendo i più importanti artisti del tempo” ha detto Paolo Cavallo, direttore del Museo Campari di Milano, alla presentazione del volume. Nel caso di Depero, non fu nemmeno necessario dargli l’incarico per un manifesto, ci pensò lui stesso esponendo alla Biennale di Venezia un quadro che raffigurava, appunto, il Bitter Campari. Depero, molto avanti per i suoi tempi, aveva una sua agenzia pubblicitaria attraverso la quale avviò una proficua collaborazione con Davide Campari e la sua azienda: in archivio sono conservati 130 bozzetti originali.
“In quanto a Fellini, il suo non è uno spot, ma un vero film, un mediometraggio, girato con i collaboratori storici come Bernardino Zapponi alla sceneggiatura e Nicola Piovani alle musiche” ha aggiunto Gianni Canova, critico cinematografico e rettore dello Iulm di Milano. Ambientato in un vagone ferroviario dal cui finestrino scorrono le immagini di un’Italia da cartolina, il filmato è una sorta di un ritorno alle origini, a quella locomotiva con cui i fratelli Lumière terrorizzarono i parigini fin de siècle.
La sfida di oggi è il progetto Fellini Forward con il documentario omonimo che ne è derivato, diretto da Drea Cooper e Zack Canepari, scenografie di Dante Ferretti e fotografia di Blasco Giurato: un film à la Fellini dove ha un ruolo primario l’intelligenza artificiale che permette di orientare il lavoro di sceneggiatori e registi nella realizzazione di un’opera che risulti scritta e diretta come avrebbe fatto il Maestro.
In apertura: Campari Red Diaries Killer in Red diretto da Paolo Sorrentino, 2017 © Ale Burset