“Il corsetto dell’imperatrice”, quinto film di Marie Kreutzer, premiato all’ultimo Festival di Cannes e a Londra e San Sebastian, riporta in primo piano, in una rilettura molto moderna, il personaggio di Sissi, consorte del sovrano austriaco Francesco Giuseppe. Ormai sulla quarantina, rifiuta l’idea della perdita della gioventù e della bellezza e si rifugia nella campagna inglese e nel castello di Ludwig di Baviera. Lontano dalla corte e dalla sua vita privilegiata e infelice. Ottima l’interpretazione di Vicky Krieps
È la celeberrima Sissi la protagonista de Il corsetto dell’imperatrice, quinto film dell’austriaca Marie Kreutzer. Vienna, 24 dicembre 1877, l’imperatrice Elisabetta d’Austria compie 40 anni ed è ben consapevole di cosa significhi questo compleanno. Il mondo ormai la percepisce come una donna sul viale del tramonto, la sua leggendaria bellezza sta cominciando a sfiorire, suo marito – l’imperatore Francesco Giuseppe – si accompagna a giovani donne che potrebbero essergli figlie. E per conservare il vitino da vespa di cui da giovane andava tanto fiera, Sissi deve lottare ogni giorno con i lacci del corsetto, sempre più stretti, fino alla tortura, e con il cibo, diventato un quotidiano nemico, da tenere a bada con teutonico autocontrollo e disperato desiderio di autodistruzione.
Il sottotitolo potrebbe essere: anche le imperatrici piangono. E si annoiano, si dibattono invano tra dovere e piacere, e soffrono di anoressia, forse anche di bulimia. Soprattutto non accettano l’idea di invecchiare, di non essere più giovani e desiderabili. Così si danno alla fuga, nella campagna inglese e nei castelli di Baviera, di proprietà di un certo Ludwig, comunque lontano dall’ingessata corte viennese e dalle parate ufficiali, dagli obblighi imposti dal ruolo e dalla gabbia dorata dove hanno trascorso gran parte di una vita privilegiata eppure infelicissima.
È una rilettura estremamente contemporanea quella tentata da Marie Kreutzer, lontana anni luce dall’agiografia romantica codificata nella serie di film degli anni Cinquanta interpretati da una giovanissima e splendente Romy Schneider. Un tentativo di interrogarsi sul destino delle donne a partire da una figura emblematica, famosissima, ma per troppo tempo congelata in un’immagine stucchevole, meravigliosamente inattuale ma al tempo stesso ancora non del tutto superata. Perché nell’immagine dell’imperatrice Sissi (una Vicky Krieps di impressionante bravura), disposta a lasciarsi morire di fame pur di non prendere un chilo, è facile vedere in filigrana quella della principessa Diana (mirabilmente ritratta in Spencer di Pablo Larrain), disperatissima e pronta a tutto pur di bruciare la gabbia in cui la Corona inglese aveva cercato di rinchiuderla. E in effetti sono tanti i punti di contatto fra l’imperatrice e la principessa, così come vengono raccontati nei film di Kreutzer e Larrain: palazzi abitati da fantasmi e scomposti desideri di fuga, devastanti disturbi alimentari e una totale incapacità di aderire a un ruolo e accettarne regole e compromessi.
Kreutzer racconta la storia dell’imperatrice Sissi con uno stile da cinema thriller, accentuando l’angoscia della protagonista, amplificandone la disperazione, stringendo le inquadrature, anche quelle girate in esterni, e sottolineando di continuo l’acuto senso di claustrofobia che pervade tutto il film, a tratti in modo insopportabile. Grazie a questa scelta evita il rischio peggiore, quello di trasformare Elisabetta d’Austria in una sorta di martire del femminismo. E si limita a raccontare il destino di una donna egocentrica e curiosa, volubile e ossessiva, capace di grandi slanci e di terribili meschinità. Comunque, estremamente affascinante, anche nella sua capacità – messa in scena nello struggente finale – di immaginare una (im)possibile libertà.
Il corsetto dell’imperatrice di Marie Kreutzer, con Vicky Krieps, Florian Teichtmeister, Katharina Lorenz, Jeanne Werner, Alma Hasun