Andrea Branzi vorrebbe creare opere che si incastonano in un tessuto di coltissime referenze. Ma poi, tra il dire e il fare…
Silhouettes antropomorfe che richiamano statuine primitive, pietre e pietruzze di riporto da passeggiata sulla spiaggia come modellini di siti megalitici, scatole di vetro e plexiglas intorno a figure di plastilina che traducono in 3D i tormentati abitanti dei quadri di Francis Bacon. Ecco gli elementi costitutivi del nuovo progetto di Andrea Branzi (Firenze 1938), Dolmen, presentato in anteprima alla Galleria di Antonia Jannone in attesa del viaggio itinerante che nel corso del 2015 porterà queste 15 opere senza titolo ad apparire nelle maggiori università americane, da Harvard alla Columbia, da Berkeley a Princeton.
L’idea dell’architetto, designer e scrittore fiorentino parte da assunti di elevato spessore, dal presupposto che «oggi la cultura del progetto ha perso i suoi punti di riferimento». «Può essere interessante», spiega Branzi, «indagare l’origine primordiale e le tecniche primitive di costruzione dell’ambiente», alla ricerca di quei «comportamenti animali» e istinti primordiali ormai sublimati dall’architettura e dal design, sempre più asfittici e autoreferenziali: «se l’uomo deriva dalla scimmia, l’uomo può ritornare alla sua condizione animale, intesa come condizione di massima libertà e modernità». E da qui la catena di coltissime citazioni «all’origine di questa tendenza»: il Merzbau di Kurt Schwitters, i dripping di Pollock e, «soprattutto, “l’uomo-gorilla” intrappolato nei quadri» di Bacon, «espressioni del conflitto tra la natura anarchica dell’uomo e l’ordine della modernità calvinista». Oppure «i filari di pietre di Carnac (V-III millennio a. C.)» riprodotti nella lunga teca che accoglie i visitatori della mostra, esempio di «microambienti primordiali del territorio».
«Only connect» direbbe Forster, e noi con lui, in preda a entusiasmo. Non fosse che il risultato dell’operazione non sembra tener dietro ai concetti elevati dispiegati sul nastro di partenza. Anche l’urlo disperato degli ominidi di Bacon è come assorbito dal bianco asettico delle paratie che li circondano, dalla trasparenza del vetro e del plexiglas. Rimane il senso di una progettualità minuta, che torna a essere ipertrofica e autoreferenziale, come la «cultura del progetto» moderna che vorrebbe forse criticare.
Andrea Branzi. Dolmen, Galleria Antonia Jannone, fino al 1 marzo 2015
Foto: Andrea Branzi, Dolmen. Courtesy: Galleria Antonia Jannone