Anna Bolena a Bergamo composer’s cut per la prima volta: un ottimo cast per le necessarie terapie donizettiane
Il fraseggio Callas, le regie di Visconti, i finali Tudor: sono solo i propilei di un lessico melomane legato all’Anna Bolena di Gaetano Donizetti, feticcio del belcanto che chiunque può o dovrebbe cantare in doccia per sentirsi più regina, indipendentemente dal sesso.
Ripresa importante al Teatro Donizetti di Bergamo, purtroppo per due sole date – il 27 e 29 novembre, più un’anteprima giovani il 25 – nell’edizione critica a cura di Paolo Fabbri, cioè in versione “composer’s cut”, che riapre senza sconti tutti i tagli nascosti a partire dall’ingombrante registrazione della divina Maria, inaugurazione anni Cinquanta della Donizetti renaissance.
La necessaria terapia donizettiana inalata a Bergamo si deve a Francesco Micheli, direttore artistico capace di radunare un ottimo cast per questa versione Tudor di Divorzio all’italiana. Un’opera rara perché ardua in ogni ruolo e anche, riaperti tutti i tagli, per la durata quasi wagneriana.
Carmela Remigio è al suo debutto come Anna. Il soprano dimostra una magnifica intelligenza drammatica, anche se è forse meno evidente la regalità del suo declamato: meglio il finale rispetto all’atto e mezzo precedente. E nonostante sia a partire dal Piangete voi – il recitativo dell’ultima scena – che si tirano le somme del personaggio, la vocalità di Anna si risolve soprattutto nella linea scultorea della prima parte: dalla cavatina, al concertato, al duetto con Giovanna. In ogni caso la Remigio ha la giusta sensibilità per seguire credibilmente tutto l’articolato sviluppo di furia e compassione della scena finale di pazzia.
È invece anche regina, oltre che attrice, la Giovanna Seymour di Sofia Soloviy, che esegue con accento nobile Per questa fiamma indomita e scandisce forse meglio della Remigio tutti i travagliati cambiamenti d’animo del grande duetto del secondo atto. Violento e terribile quanto basta il basso Alex Esposito con il suo vigorosissimo Enrico VIII. Meno convincente il tenore Maxim Mironov, forse troppo leggero per Riccardo Percy. Sempre brillante Manuela Custer (Smeton), così come Alessandro Viola (Sir Hervey).
Molto corretta la direzione di Corrado Rovaris, a cui è mancata a volte un po’ di irregolarità, un’apertura più teatrale. Ci sono frasi in cui forse si dovrebbe aspettare di più, in empatica sintonia coi cantanti (S’ei t’aborre io t’amo ancora, Giudici…ad Anna!, Coppia iniqua), perché Donizetti non ha scritto una partitura rossiniana: nella Bolena mancano infatti quei diabolici meccanismi a orologeria dei concertati da Barbiere di Siviglia. È perciò la stessa intenzione musicale a dover cambiare, magari anche con esplicite esitazioni: in fondo si tratta della prima tragedia romantica italiana.
Il cast è vestito a lutto nel lugubre spettacolo del regista sudafricano Alessandro Talevi, già visto alla Welsh National Opera. Una Bolena dark, con scene nere e sinistri trofei appesi nella reggia alla Bram Stoker di Madeleine Boyd. Pedana mobile circolare e girotondi a non finire di coro e solisti, eppure la lettura di Talevi è statica, e non viene molto movimentata dalla cornice realista aggiunta, con il parto iniziale della futura Elisabetta e il rapimento della neonata subito prima dell’esecuzione di Anna: un meccanismo che fa troppo Star wars, se si pensa che Elisabetta sarà tra i protagonisti degli altri due titoli Tudor di Donizetti.
Inoltre sono inserti che non vengono sviluppati durante il resto dell’opera, forse perché il libretto di Felice Romani conta già un buon numero di ragioni per la disperazione della neo-divorziata Anna, senza che si debbano aggiungere i significati dati dalla presenza in scena di una culla nera alla Rosemary’s Baby. La culla funge anche da rifugio di Anna durante Al dolce guidami, simulacro un po’ scontato delle sue speranze perdute.