Ancora perplessi sulle scelte curatoriali di “Stranieri ovunque”, il progetto di Adriano Pedrosa per la Biennale di Venezia, ci prendiamo del tempo cominciando a raccontare gli artisti che più ci hanno colpito. Questa settimana entriamo nell’installazione dell’artista viennese di origine russa Anna Jermolaewa per il Padiglione dell’Austria, che si estende dall’arco della sua esperienza di rifugiato politico ai significanti della rivoluzione e alla sovversione contro i regimi non democratici. Contenuti forti espressi con grande maestria, celando la rivolta sotto la poesia.
Attratti dalle note melodiose e familiari del Lago dei Cigni di Čajkovskij, entrare nello spazio aperto e protetto del padiglione austriaco ai Giardini della Biennale di Venezia, allestito dall’artista austriaca di origine russa Anna Jermolaewa, è come attraversare lo specchio di Alice per ritrovarsi in un mondo in cui metafore essenziali si trasformano in immagini di infinita eleganza. La ballerina alla sbarra si scalda i muscoli e le articolazioni, in attesa di esibirsi mentre nel video sullo sfondo la sua classe di danza si esercita sugli stessi passi. Sogno di ogni bambina, il tutù con le ali di cigno ricamate, lo scaldacuore incrociato sul petto, le gambe agili e guizzanti della ballerina e coreografa ucraina Oksana Serheieva attirano nel vortice di note tutta l’attenzione. E lasciano in secondo piano l’intenzione simbolica che ricorda come, nell’ex Unione Sovietica, alla morte di un leader seguivano giorni in cui il classico dei classici del balletto andava a rotazione fino allo sfinimento, per interrompersi solo all’apparizione del nuovo capo supremo. Un modo assai gentile ed elegante per augurare all’attuale leader russo qualche giorno di balletto in tv, ma forse talmente gentile da non essere arrivato alla mente semplice e ottenebrata dall’ideologia di alcuni spettatori ucraini, ai quali, al solo sentire la melodia di Čajkovskij, si è rivoltato il sangue spingendoli a scatenare reazioni volgari e inconsulte sui social. Ma il lavoro di Anna Jermolaewa vuole arrivare proprio all’esatto opposto dell’esaltazione della centralità russa. Solo che lo fa senza bisogno di intaccare quel campo di libertà e di condivisione che è sempre stata e deve continuare ad essere l’Arte.
Tutta l’Arte, a cominciare dalla musica che nell’ex impero sovietico, che oggi tanto ex non ha più voglia di essere, era vietata al punto di impedire la vendita di vinili, un divieto che la resistenza quotidiana del popolo aggirava incidendo l’unico materiale plastico adatto e reperibile, le radiografie ortopediche. Ecco allora che, nella sala che segue la meraviglia apparentemente leggera della danza, trova posto un’esposizione di queste lastre incise e forate, pronte ad essere ascoltate nel giradischi attorno a cui sono esposte e su cui ruota un costato o un ginocchio forato al centro della rotula. Una resistenza minimale e potentissima, suo malgrado viscerale ed estetizzante.
Il viaggio appena iniziato nel mondo di Jermolaewa continua a portarci più a fondo nella magia delle allusioni, che nella sala che fronteggia la danza mostra un perfettissimo jardin d’hiver, nel quale mazzi di fiori sapientemente invasati e disposti su sostegni di fortuna rimanda un’immagine tra il fiammingo e il caravaggesco, celando però tra i petali di ogni mazzo l’immagine di una rivoluzione, da quella portoghese dei garofani rossi a quella dei cedri in Libano. La luce delle alte finestre scorre sui colori accesi dei mazzi che, anima dell’opera, verranno mantenuti sempre freschi cambiando con il cambiare delle stagioni, emanendo un afrore di poesia che non nasconde ma anzi esalta, per contrasto, la brutalità delle lotte che simboleggia.
Perché la storia dell’artista del padiglione austriaco è una storia complicata. Nata a Leningrado, Jermolaewa ha fatto parte dell’Unione Democratica del partito di opposizione alla fine degli anni ’80 ed è stata co-editore di uno dei quotidiani settimanali del partito Samizdat finché, nel 1989, fu presa di mira dal KGB e dovette fuggire per evitare persecuzioni. Arrivata in Austria, dormirà per giorni su una panchina della stazione, operazione che tenta di ripetere nel video, anch’esso inserito nel percorso del padiglione, dove sulla stessa panchina tenta di trovare un’impossibile posizione comoda, impedita ulteriormente dall’aggiunta recente di braccioli che altro scopo non hanno se non rendere ancor più dura la vita di chi è costretto a trovarvi, suo malgrado, un giaciglio.
Dalla fine di un ciclo raccontata dalla danza all’eleganza simbolica dei fiori, dalle ossa che mandano musica alla dura lotta per dormire si giunge infine, tappa centrale del viaggio, al cortile che raccorda gli spazi del padiglione occupato da una fila di cabine telefoniche a moneta, oggetti ormai di modernariato ma che provengono dal campo profughi in cui Anna fu portata dopo la sua prima settimana su quella panchina in stazione. Unico collegamento con la famiglia d’origine, ancora una volta l’aver recuperato proprio quelle cabine nel momento in cui furono dismesse permette all’artista di veicolare il suo racconto tragico di migrante forzata con un’esperienza emotiva potente e dolcissima, quella dell’attesa della risposta, della speranza che la linea funzioni, che l’altro sia a casa per rispondere, che la moneta basti. Un esperienza che il visitatore è invitato a sperimentare, con l’inevitabile batticuore e quel misto di speranza, angoscia, malinconia ed eccitazione provate dalle migliaia di persone che in quelle cabine hanno tracciato numeri, nomi, appunti e disegni a matita sulle pareti.
Anna Jermolaewa ci regala con questo padiglione un viaggio poetico e lieve nell’infraordinarietà del tragico. Il diario di una ragazza romantica che, inevitabilmente, rivela il dramma e il dolore senza rinunciare all’unica speranza della condivisione e dell’empatia. Il racconto di un’artista che, con grande maestria, cela la rivolta sotto la poesia.
60^ Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Venezia, fino al 24 novembre 2024
In copertina: Anna Jermolaewa e Oksana Serheieva, Prove per il Lago dei Cigni, 2024, veduta dell’installazione, Padiglione Austriaco, Biennale Arte 2024. Foto: Markus Krottendorfer e Bildrecht