Mentre sul palco è in scena “La Gioconda” firmata da Livermore, è stato presentato il cartellone della prossima stagione scaligera che si aprirà con il capolavoro di Modest Musorgskij. Ma molte altre sono le carte che il Piermarini intende giocare con successo. Dalla Salome con la regia di Michieletto al Peter Grimes diretto da Robert Carsen passando per Rusalka affidata a Emma Dante. Alto il profilo dei concerti con Gatti, Chailly, Harding, Gardiner, Mehta per citare solo alcuni dei protagonisti sul podio
Quattordici opere, otto programmi di balletto, sette tripli concerti sinfonici, quattro di orchestre ospiti, tre straordinari, sette recital di canto, cinque per pianoforte: nella Stagione 2022-2023 la Scala riesce a tornare, nei numeri, ai giorni felici che non sapevamo lo fossero, due anni fa. Duecentocinquanta spettacoli, per un quasi-tutte-le-sere-aperto ch’è la missione di un teatro internazionale, sono l’attività fisiologica in cui la Scala si è assestata dal 2007. E questa è la faccina col sorriso. Sul cosa e il come di questa offerta tornata “a regime”, i bei ganascini non abbondano. Quel che vale la pena di vedere e sentire lo metteremo in memoria per giri interni: quali registi, quali direttori, quali cantanti inseguire qua e là, secondo cultura e predilezioni, perché progetti completi, tondi tondi, non ce ne sono tanti. Direi quattro su quattordici: Boris Godunov, Salome, Rusalka e Peter Grimes.
Sì. Il primo dei quattro – inaugurazione già decisa prima del sinistro 24 febbraio – ha il poker in mano per diversi motivi: sarà davvero il Boris Godunov “di Musorgskij”, perché Riccardo Chailly ha scelto di dirigere la versione originale, come la scrisse Modest, prima che sul suo capolavoro dell’anima e del popolo russo, tanti maestri con penna rossa e blu si impegnassero a correggere “errori” che erano solo coraggio e genio non accademico.
Con Boris siamo passati dalla versione di Rimskij Korsakov, tutta sua, a quella di Šostakovič, più onesta; quarant’anni dopo la leggendaria edizione di Abbado-Ljubimov, per la prima volta arriva alla Scala il Boris che Musorgskij scrisse, senza le limature d’orchestra e le aggiunte sentimentali imposte da un mondo musicale non pronto ad accogliere la ruvida sintesi di Musorgskij come la scelta di un grande.
All’altezza della bacchetta di Chailly, che alla Scala ha diretto altri due titoli russi – la Fiera di Soročinskij di Musorgskij nel 1981 e l’Angelo di fuoco di Prokofiev nel 1994 – sono la regia di Kasper Holten, il protagonista Ildar Abdrazakov e il cast “in lingua”.
Insomma la bomba di un Sant’Ambrogio “russo”, lanciavano ieri i titoli. Notizia incredibile: pensavamo che per l’arte degenerata, quella lontana dai criminali simil e pre-Putin, da Dostoevskij a Šostakovič, non ci fossero eccezioni alla cura Fahrenheit 451. Invece, esclusi gli States piagati dal politicamente corretto, molti casi di falò in piazza non se ne vedono. Non alla Scala, almeno, a parte l’aver accompagnato alla porta Valery Gergiev, gesto sacrosanto.
Il secondo progetto “tondo” è la Salome di Strauss (14-31 gennaio 2023) nello spettacolo di Michieletto che in pochi hanno/abbiamo visto in teatro al culmine Covid. Il titolo torna a Zubin Mehta, dalle cui mani Riccardo Chailly lo raccolse quando il maestro si ammalò: anche sotto l’aspetto musicale non dovrebbero esserci cedimenti, sebbene Salome sia stato uno dei risultati più alti di Chailly alla Scala.
Terzo titolo a tutto tondo è ancora un’opera dell’Est, Rusalka di Dvořák (6-22 giugno 2023), affidata con pieno senso a Emma Dante, donna di teatro scomoda perché ricca di sorprese, la cui Carmen al femminile, ai tempi di Lissner-Barenboim, non fu capita. Sul podio c’è un musicista che il repertorio céco lo conosce, Tomáš Hanus, e in scena una protagonista doc, Olga Bezsmertna.
Quarto progetto con le carte in regola è Peter Grimes di Britten (18 ottobre-2 novembre 2023): regia di Robert Carsen e direzione al femminile di Simone Young, già attiva ad Amburgo.
Nì. Il resto della stagione d’opera chiama una fila di “distinguo”. Due direttori di rispetto, Fabio Luisi e Michele Mariotti, si prendono ciascuno un’opera: d’importanza il primo, i Vespri siciliani di Verdi (28 gennaio-21 febbraio); di cui si fa anche a meno il secondo, L’amore dei tre re di Italo Montemezzi (28 ottobre-12 novembre). I registi sono in entrambi casi più decorativi che profondi, Hugo de Ana e Alex Ollé. I Vespri si danno inoltre nella versione italiana che le edizioni critiche hanno soppiantato con quella originale francese. Last but not least, sarebbe stato anche meglio scambiare titoli e direttori.
Dal 4 al 26 marzo riappare la Bohème di Puccini nella versione 1963-64 di Zeffirelli, che forse solo i neonati non hanno visto. Allettante, nel filone preclassico o barocco, sulla scia della sorprendente Calisto di Cavalli, è la riscoperta di Li zite ‘ngalera di Leonardo Vinci, maestro di scuola napoletana (4-21 aprile), ma lo spettacolo è affidato a Leo Muscato, del quale si riprende anche un Barbiere di Siviglia (4-18 settembre 2023, direttore Evelino Pidò, Progetto Accademia), che francamente non pulsava di rossiniana eccitazione.
Livermore evermore. A macchia di leopardo il capitolo registi. Dal 30 settembre al 20 ottobre ritornano Le Nozze di Figaro di Strehler; gesto nostalgico, che però non metterei sullo stesso piano della Bohème di Zeffirelli: in Mozart il pensiero moderno non è inginocchiato ai piedi del sentimento. Per Lucia di Lammermoor (13 aprile – 5 maggio), secondo suo titolo di stagione, Riccardo Chailly promette ancora un ritorno a Donizetti, con passi inediti e strumentazione originale, ma evita azzardi e affida lo spettacolo a Yannis Kokkos, scenografo di sguardo non rischioso.
Per novità, spessore o riflessione ci sono altri registi da cercare. Non molti. Oltre a Carsen, Michieletto, Holten, Emma Dante, di sicuro Mario Martone, che riprende in maggio (3-27) il suo Andrea Chénier del 2017.
Ne resta un altro, Davide Livermore, un caso a sé. Chi è rimasto abbagliato da tutte le invenzioni di ormai quattro sette dicembre (non rientro nella categoria), non ha grandi sforzi da fare: il 15 marzo incontra i nuovi Contes d’Hoffmann di Offenbach (fino al 31 marzo); dal 17 giugno all’8 luglio la ripresa dell’ultimo Macbeth. Non bastasse, ieri (martedì 7 giugno) è andata in scena La Gioconda di Ponchielli, nuova produzione che porta a sei gli spettacoli firmati alla Scala da Livermore: straordinario caso di prolificità e capacità seduttiva. Resta da notare come Chailly, conclusa la trilogia verdiana di Giovanna d’Arco (2015), Attila (2018) e Macbeth (2021), quest’anno abbia tagliato il filo. (Macbeth sarà diretto da Giampaolo Bisanti). Separazione consensuale o divorzio?
NonsoloBolle. Chi vive solo di balletto classico, oltre a compulsare istericamente il nome di Roberto Bolle ha una nuova stella per cui palpitare: su Schiaccianoci di Nureyev (17 dicembre-11 gennaio), Romeo e Giulietta di McMillan (24 giugno-7 luglio) e Lago dei Cigni ancora di Rudolf (15-27 settembre), clicchi Jacopo Tissi, giovane che l’ex direttore del ballo Makhar Vaziev si era portato al Bol’šoj e che da poco è tornato a casa. Chi invece ama qualche avventura in più, può osare la serata Dawson/Duato/Kratz/Kylián (3-9 febbraio), la Serata Forsythe del 10-30 maggio e gli Aspects of Nijinsky di novembre 2023, serata-invenzione di William Forsythe sul mito di Vaslav, con fondali tratti da disegni di Nijinsky (con Bolle).
Sinfonici tutti. Il fianco che la Stagione ‘22-23 non espone a vulnus è quello sinfonico: qui solo certezze, anche meravigliose. Dei sette appuntamenti di stagione nessuno è da perdere: nel novembre 2022 Daniele Gatti (che torna in maggio 2023 come ospite con la Gustav Mahler Jugendorchester), in gennaio Chailly con un programma ancora russo (Čaikovskij), in febbraio Daniel Harding con le tre ultime sinfonie di Mozart, in marzo Lorenzo Viotti, in aprile Timur Zangiev (il ventisettenne sostituto eccellente di Gergiev nella Dama di Picche), in maggio ancora Chailly con l’Ottava Sinfonia di Mahler dei cosiddetti “mille”, Zubin Mehta nell’ottobre 2023 con la Turangalîla-Symphonie di Messiaen. Per le orchestre ospiti, nel novembre 2022 torna Pappano con Santa Cecilia, il 3 dicembre John Eliot Gardiner con i suoi English Baroque Soloists per l’Oratorio di Natale di Bach, il 22 dicembre Zubin Mehta dirige Haydn per il concerto di Natale 2022, mentre il 20 giugno 2023 Riccardo Chailly si concederà il lusso dei Wiener Philharmoniker per un programma tutto Strauss.
Nella Stagione che sta per concludersi doveva tornare in due occasioni Daniel Barenboim; non ce l’ha fatta per diversi problemi fisici. Peccato, dovremo accontentarci di sua moglie, Elena Bashkirova, pianista di qualità che il 19 marzo 2023 accompagnerà nel suo nuovo recital Anna Netrebko, osannata pochi giorni fa.
In copertina La Gioconda di Amilcare Ponchielli in scena alla Scala con la regia di Davide Livermore (Foto di Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala)