Il mito di Sofocle rivisto da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande dei Motus passando attraverso la rilettura che della tragedia fecero prima Brecht e poi il Living Theatre con Judith Malina
Non è più questione di essere in ritardo. Il ritardo è un concetto soggettivo, Antigone ne è diventata consapevole, ha atteso duemilacinquecento anni, ma stavolta non è arrivata in ritardo.
“Too late!” è l’esclamazione brechtiana che caratterizza l’Antigone del Living Theatre di Judith Malina. Too late! è il titolo di una rinnovata Antigone dei Motus, compagnia italiana nata nel 1991 e che sulla rilettura della tragedia sofoclea è riuscita a non tardare, a non renderla una copia o una distorsione dell’originale.
Daniela Nicolò e Enrico Casagrande, drammaturga e regista, hanno rivisitato i testi, le parole, le azioni di due autori lontani nelle intenzioni e nel tempo, Sofocle e Brecht appunto, e di un movimento (più che una compagnia), il Living Theatre, che aveva già riportato i personaggi della Grecia antica a una loro dimensione primitiva, naturale e animale. I Motus passano anche attraverso Grotowski, attraverso il suo approccio rigorosamente verista all’utilizzo del corpo e della voce, per arrivare a un risultato che di ognuno di questi spunti fa base ma non carattere dello spettacolo: il carattere lo mettono loro, con il continuo movimento dei personaggi tra il dentro e il fuori, con il loro spostamento tra la dimensione della tragedia, in cui Silvia Calderoni è sia Antigone che Emone e Vladimir Aleksic è Creonte, e la dimensione di attualità in cui i due attori ricominciano a essere loro stessi.
Silvia e Vladimir diventano così, oltre che protagonisti, motori mobili della scena. Sfruttano pienamente le loro capacità fisiche, fino a sfidarle, fino a farle parlare più del testo. I corpi dei due attori sono la chiave di interpretazione dei gesti e delle immagini di Too late!. La loro sensibilità scaturisce dalla parola, dal tono con cui dimostrano di essere persone oltre che corpi. Hanno voce e hanno volontà di espressione, quella volontà che caratterizza i personaggi di questa Antigone, indipendente e finalmente libera di ribellarsi a Creonte, di parlargli apertamente, quasi senza filtri, proprio per non arrivare in ritardo.
Si affrontano e si scontrano, Silvia e Vladimir, come cane e padrone, in un’arena che sembra congelare la problematica dei rapporti: come allora a Tebe, anche qui oggi si decide di agire in contrasto con l’autorità. Con una differenza: Antigone continuerà a rimanere consapevole della giustezza della propria azione, mentre Creonte soccomberà all’ingiusta aspirazione a essere solo padrone, e il ritardo si reindirizzerà a suo svantaggio.
Non aveva ascoltato abbastanza, Creonte, e così rimane senza parole. Colpito dalla forza di una messa in scena capace di scardinare i piani di azione originari, in favore di una memoria che aiuta il rinnovamento delle idee e dei risultati del nostro comportamento.