Sophie Deraspe trasporta ai giorni nostri (e sullo schermo) la tragedia di Sofocle, già frequentata da Liliana Cavani e dal duo Straub-Huillet. Facendo delle periferie moderne il terreno di scontro per una nuova battaglia tra la legge degli uomini e quella della coscienza. Eccellente la giovane protagonista Nahema Ricci nel ruolo di una ragazza che sacrifica il suo futuro per salvare il fratello finito in carcere
Messa in scena a teatro da Bertolt Brecht, dal Living Theatre e da Andrzej Wayda, come riflessione e monito sulle derive dittatoriali del potere in contesti sociotemporali decisamente diversi, Antigone, la tragedia di Sofocle che debuttò il 442 a.c. alle Grandi Dionisie di Atene, parte della trilogia dedicata alla drammatica sorte di Edipo e dei suoi discendenti, ha già avuto parecchi eco anche al cinema: si ricordano I cannibali di Liliana Cavani, che nel 1969 la traspose nel suo tempo di golpe dei colonnelli (sempre greci) e un’analoga Antigone firmata nel 1991 dal duo guru dell’avanguardia franco-tedesca Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Anche molti dialoghi di La Rosa Bianca di Marc Rothemund, incentrato sulla resistente antinazista Sophie Scholl, sono ispirati a quelli di Sofocle.
Un nuovo adattamento viene ora dal Canada, data 2019 ma causa Covid è appena uscito in Italia e porta la firma di Sophie Deraspe (studi di arti visive e letteratura, già direttore della fotografia, qui alla sua quinta regia), che lo fa ruotare, immerso nel mondo contemporaneo, intorno al tema dell’immigrazione. La famiglia di Antigone viene dalla Cabilia, una regione dell’Algeria che al momento della sua fuga, oltre una decina d’anni fa, era ancora alle prese con la guerra civile tra i fondamentalisti islamici e i militari al potere. Persi i genitori, assassinati e scaricati da un camion sotto le finestre della sua stanza, lei fugge con la nonna e ciò che resta della sua famiglia. La ritroviamo, ai giorni nostri, nella periferia di Montreal: dopo che il maggiore dei suoi fratelli viene ucciso da un poliziotto, e l’altro finisce in prigione, tocca a lei sfidare la legge degli uomini per seguire quella degli affetti. Stavolta, più che seppellire il suo caro, lo “disseppellirà” da un tomba simbolica, il carcere, affrontando poi giudici e polizia per ottenere giustizia e parola in un paese che all’improvviso sembra aver scelto di non dialogare con loro, musulmani, forse in qualche modo fuorilegge, certamente diversi.
Passato con successo la Festival di Toronto, alla Festa di Roma e candidato due anni fa all’Oscar al miglior film straniero, Antigone sembrava all’inizio promettere assai migliori atmosfere, e un destino quasi favorevole, in una casa più che dignitosa, a Ismene che fa la sciampista, a Etéocle campioncino in una squadra di calcio, forse perfino a Polinice, dai comportamenti border line. E soprattutto ad Antigone, 17ennne minuta e carina, brava a scuola tanto da meritarsi una borsa di studio, con un biondino ricco e borghese che di lei s’innamora, ricambiato. Ma quando il primo è ucciso e il secondo arrestato, lei sceglie, complice la nonna, di far evadere Polinice sostituendosi a lui. Scoperta e processata. si giustifica così: “Il cuore me lo ha detto. Lui è mio fratello”. E ben presto da accusata diventa accusatrice, e non vacilla di fronte alla legge con i suoi mille codicilli, mentre fuori le proteste dilagano nella gioventù immigrata, tra auto incendiate, cariche dei gendarmi, writers che riempiono i muri con slogan e immagini a suo sostegno, E i ragazzi che ballano per strada, a ritmo di un rap incalzante, sono ripresi con la camera a mano: immagini dense, belle, dinamiche.
Antigone conquista, con la sua forza e la lucidità, le altre detenute, le secondine, perfino i giudici, nonostante qualche scomoda verità sulla famiglia la sottoponga a un massacro sui social network. Poi l’incontro con una psichiatra cieca, che si chiama Teresa come l’indovino cieco Tiresia, alla fine la mette di fronte alla tragica realtà, già enunciata da Sofocle: il conflitto fra la legge degli uomini e la legge della coscienza è irrisolvibile. Così il film si chiude con la famiglia smembrata, che sceglie il ritorno in patria, meno, forse, lei (interpretata in modo spavaldo dalla giovane Nahéma Ricci) bloccata all’aeroporto in un fermo immagine che cela più di quanto dica, in verità, sulla sua scelta definitiva per la vita futura.
Tanti sono i temi, e non tutti presi dalla tragedia, anzi c’è un aggancio a un fatto di cronaca che riguarda la sorella dell’honduregno Freddy Villanueva, ucciso nel 2008 in un parco di Montreal durante un raid della polizia finito male: si spazia dal senso e dalla ricerca di una giustizia, via via sempre più interiori, che portano a sacrificare le prospettive di vita, alla complessa dialettica accoglienza/rifiuto delle metropoli contemporanee verso popoli sempre e comunque sospettati di una qualche forma di inimicizia. E affiora il conflitto generazionale dei giovani “non riconciliati” di tanti continenti diversi, che scompone e ricompone etnie, appartenenze politiche, strati sociali sull’onda dei nuovi modi di comunicare e combattere per i propri diritti con le ragioni del cuore. Deraspe evita però la facile trappola del film classico di denuncia, perché il dilemma morale di Antigone è ancora più drammatico: pure se i fratelli facevano parte di una banda criminale, la sua posizione di difesa e lotta è assoluta e prescinde da ogni giudizio su di loro.
Antigone di Sophie Deraspe con Nahéma Ricci, Hakim Brahimi, Rawad El-Zein, Antoine Desrocher, Rachida Oussaada, Nour Belkhiria