Céline non critica gli ebrei più di quanto non critichi qualsiasi altro essere umano – francese, “negro”, “giallo”. Riducendo a mero stereotipo un intero popolo, il suo scopo era puntare il dito contro i pochi che tengono le briglie del mondo
La cronaca ci dice che Céline, ancora innamorato di Elizabeth Craig – sua compagna prima dell’esordio letterario con Viaggio al termine della notte -, nel 1934 si reca in California in cerca della sua musa. Sfortunatamente lei, nel frattempo, si era sposata… con un ebreo.
Secondo alcuni, questa è la causa, il motore dello spregiudicato antisemitismo che Céline vomita a più riprese nel 90% della sua produzione letteraria. La teoria è affascinante e Louis Ferdinand non sarebbe il primo uomo a servirsi dell’odio per sfogare una delusione d’amore. È affascinante, romantico quasi, pensarla così… non è questo il caso però.
Le invettive antisemite di Céline sono troppo strutturate, ponderate, ragionate per essere il mero frutto dei vaneggiamenti di un uomo con il cuore infranto. Leggete Morte a credito, Mea Culpa o i pamphlet Bagatelles pour un massacre (1937), L’École des cadavres (1938) e Les Beaux draps (1941) e troverete frasi come queste:
“ci sono solo i fessi che ci lascian le penne! Il dopoguerra è il momento migliore! Tutti vogliono la loro parte! Nessuno vuole sacrifici. Tutti vogliono profitti. Torroncino al 100 per 100.”
“Non immaginano mica i Francesi come si presenta l’America. Si fanno illusioni. 40 milioni di bianchi ben sbronzi, sotto direzione ebraica, perfettamente degenerati, almeno nell’anima, spaventosi, e poi 300 milioni di meticci, in gran parte negroidi, che chiedono solo di abolire tutto. Più l’odio dei Gialli!”
“Vogliono cosa? Non lo sanno loro stessi. Han tutto rovinato, putrefatto, vomitato come capitava, tutto quel che toccheranno farà la stessa fine, porcheria, immondizia nel giro di due giorni. Voglion rimanere carogne, sbracati, casinisti, trincatori e basta. Non hanno un altro programma. Vogliono rivendicare dappertutto, in tutto e su tutto e poi basta.”
“Ci sono piccoli ebrei molto simpatici e francesi che son carogne belle e buone, rimasugli nauseabondi. Non è per niente una questione di razza. È una questione di classe. Tutti lo sanno. Gli Ebrei responsabili della guerra? Ecco ancora un’altra balla! Un’invenzione del Capitale per scagionare i veri colpevoli, gli uomini della quinta colonna. I veri colpevoli sono Hitler e poi Wendel, forse Dreyfus (ma per lui è tutto da vedere) d’accordo e d’accordo tutti e tre (i pezzi grossi non si mangiano) con Churchill e Franco per strangolare il proletariato…”
“I dannati della Terra da un lato, i borghesi dall’altro, hanno in fondo una sola idea, diventar ricchi o rimanerlo, è proprio lo stesso, il rovescio vale il diritto, la stessa moneta, lo stesso pezzo, nei cuori nessuna differenza.”
“Una razza di io! io! io! io! io!”
“L’ebreo accetta volentieri tutto quel che si vuole, sempre d’accordo con voi, a una condizione: Che sia sempre lui che comandi. […] È un mimetico, una puttana, sarebbe dissolto da tempo a forza di trapassare negli altri, se non avesse l’avidità…”
“L’ebreo non ha paura di nulla… Ha paura proprio soltanto di una cosa. Del comunismo senza gli ebrei.”
Costruitele voi, da queste poche frasi sparse che avete letto, le vostre verità sull’argomento. La mia, se può interessarvi, è che Céline non criticasse gli ebrei più di quanto non criticasse qualsiasi altro essere umano – francese, “negro”, “giallo”. Riducendo a mero stereotipo un intero popolo, il suo scopo era puntare il dito contro i pochi che tengono le briglie del mondo… quelli che lo hanno condotto in guerre-massacro con il solo fine “di ingrassare ancora di più”… quelli che lo hanno avvelenato speculando sulla vita di chi davvero ci rimette le penne. Puntare il dito contro la civiltà del tecnicismo, della statistica, della precisione, della misurabilità, del “lavoro-panacea-dei-disgraziati!”… una civiltà, secondo Céline, creata ad arte da chi trama nell’ombra per irretire il popolo: “Il popolo non ha ideali, solo bisogni. Cosa sono i bisogni? […] , che non ci sia più disoccupazione, trovare lavori per benino, aver la sicurezza, essere assicurati contro tutto, il freddo, la fame, l’incendio, avere le vacanze pagate, la pensione, la stima, la belote e il cicchetto, più il cinema […] e la motoretta d’occasione per le passeggiate in famiglia. […] È borghesia in embrione.”
Questi sono i malanni della civiltà secondo Céline; malanni che si annidano da qualche parte nel Popolo dei popoli. Certo, fosse stato un po’ più cortigiano avrebbe potuto usare frasi banali come: “non tutti i qualcosa sono qualcuno… ma tutti i qualcuno sono i qualcosa!”. Quello che Ferdinand voleva intendere lo ha inteso. Intelligenti pauca…
“Non ho scritto nulla contro gli ebrei… tutto quello che ho detto era «che gli ebrei ci stanno spingendo in guerra», e questo è quanto. Avevano una rogna con Hitler, e non erano affari nostri, non avremmo dovuto impicciarcene. Gli ebrei hanno avuto una guerra di lamentele per due migliaia di anni, e adesso Hitler gli aveva dato causa di altri lamenti. Non ho nulla contro gli ebrei… non è logico dire qualcosa di buono o cattivo su cinque milioni di persone”. Ribadirà in una delle sue ultime interviste.
Céline è un abile equilibrista di rancori… sempre attento a rifuggire da un’unica verità. La borghesia, gli ebrei, la “negritudine”, il fordismo, la Massoneria, il comunismo fantasmatico, la sua Francia più volte denigrata e più volte difesa, i totalitarismi, gli intellettuali… sono questi i soggetti preferiti delle sue invettive. Invettive mai assolute, cementificate, piuttosto facce man mano diverse della stessa medaglia.
Per le frasi contenute in quei pamphlet e per aver avuto il coraggio – o seguendo la semplice necessità fisica di uno scrittore di scrivere sempre ciò che pensa così come lo ha pensato – Céline fu accusato di collaborazionismo. Costretto a scappare con la moglie in Danimarca, fu poi arrestato e imprigionato. Ottenne l’amnistia solo nel 1951. Amnistia che non gli permise, però, di ripulire la sua fedina agli occhi di intellettuali come J. P. Sartre “Se Céline ha potuto sostenere le tesi socialiste dei nazisti, è perché era pagato”, che in pratica lo esiliarono dalla loro cerchia decretandone una punitiva caduta nel dimenticatoio… in Europa. Sì! perché al di là del blu, la sua figura, il suo stile di scrittura asciutto, rapido, ellittico e il suo linguaggio triviale basato sull’argot (slang) divennero oggetto di culto per i poeti della Beat Generation… Céline per loro era un feticcio. Uno dei totem della corrente letteraria statunitense, Allen Ginsberg – di origini ebraiche – andò fino in Francia, con Burroughs, pur di incontrarlo. E, pensate un pò, Céline aprì il cancello e parlò con un ebreo per due ore discutendo di letteratura e altre amenità (tutto scritto in Due Beat a Meudon… ancora non l’ho letto, sigh!).
“Tutto quel che non mente è svergognato, braccato, scacciato, vomitato dall’alto, odiato a morte. (Louis Ferdinand Céline)”… Non sempre!
In un’epoca in cui la possibilità di dire ciò che si pensa è a portata di pollici e ha una ridondanza immediata e globale, è da grattacapo spiegarsi il perché sia così tanto difficile dirlo effettivamente. Il problema forse si nasconde proprio nel rovescio positivo della medaglia: ciò che scriviamo è così facilmente fruibile da un pubblico molto vasto e in breve tempo che si deve strare attenti a ciò che si dice. Politically correct… o morte istantanea!
Si sente forte, perciò, la mancanza di scrittori politicamente scorretti, pensatori-lupi solitari, intellettuali fuori dal gregge, fuori da ciò che si dovrebbe o si vorrebbe sentir dire. Compito di chi scrive, io credo, non è mostrare una Verità – semplicemente perché non ne esiste solo una – ma le verità. Essere in grado di dire cose che gli altri – per latitanza di coraggio o mancanza di mezzi tecnici e sensibilità – non riescono a dire. Mettere in luce punti oscuri che per pigrizia, ignavia, menefreghismo, velocità moderna non si erano voluti prendere in considerazione.
Non si deve essere mai d’accordo con ciò che uno scrittore afferma né essere in disaccordo. Compito del lettore è dubitare. Céline diceva che “niente è più grave delle convinzioni assolute”. Dubitare! quindi… sempre. Bisogna costruirsi dei dubbi. È vitale!
Immagine di copertina di Emily Orpin