In Bocconi si espone il talento straordinario e dimenticato di Antonio Calderara. Il gesto riscatta l’immagine dell’università, ma non rende giustizia al pittore.
Nello storico edificio di via Sarfatti 25, la Bocconi Art Gallery racconta in venticinque dipinti la storia pittorica di Antonio Calderara (1903 – 1978). Pittore troppo poco ricordato, schivo e solitario, fu un grande esponente della cultura artistica del novecento italiano e non solo.
Basteranno infatti due quadretti portati in Germania dall’amico pittore Mavignier, per farsi stimare anche dai tedeschi. Era il 1960, rettangoli e quadrati avevano appena sostituito le linee curve che conducevano alla figura umana e solo avvicinarsi all’alfabeto di Josef Albers significava astrattismo. Ma andiamo con ordine: la bella serie di dipinti che sfila sulla parete dell’esposizione, comincia dagli anni venti, quando Calderara è ancora magistralmente figurativo, quando da pittore autodidatta controlla con sguardo vigile le correnti artistiche coeve come Novecento e il Chiarismo. Attratto anche dai retaggi divisionisti, non rimane estraneo alla conoscenza di Piero della Francesca.
Linguaggio eclettico il suo, passa da una meticolosa illustrazione smaltata di grigi e gialli un po’ tenui (Milano, il Naviglio), a una calma piatta di stampo seuratiano con La famiglia dopo il temporale, fino al piccolo Autoritratto dai baffi risorgimentali. Calderara raffina i toni della tavolozza, il colore senza luce non ha risonanza e a spronare l’artista verso questa direzione c’è niente di meno che Raffaello Giolli.
In una vita non priva di forti traumi, su tutti la morte improvvisa della figlia nel 1944, Calderara resiste all’incomprensione della critica di quegli anni, nonostante il grande vuoto esistenziale. Nel 1954 scopre le pitture di Mondrian; la terza dimensione esiste solo nelle velature sovrapposte e la luce invade tutto, diventando la protagonista assoluta di opere chiarissime: Giallo. Conduzioni orizzontali e Attrazione quadrata nel quadrato.
È il momento della sintesi, della rarefazione, dell’interesse mentale verso l’astratto, del “vorrei dipingere il niente”.
Calderara trascorrerà la sua parabola intimista isolandosi sulle sponde del lago d’Orta cercando di capire davvero il segreto della pittura. Purtroppo l’allestimento espositivo è un’occasione mancata: in un anonimo corridoio i quadri sono imprigionati da un doppio vetro che riflette sulle opere l’ombra di chi si avvicina a guardarle. Una questione di luce insomma, la stessa luce nevralgica per leggere i dipinti del pittore.
Verrebbe da chiedersi se davvero siamo ancora in grado di affrontare seriamente questo genere di esperienze artistiche. Intanto, mentre il via vai studentesco della Bocconi passa frettolosamente da un corridoio all’altro (il tempo è denaro), nessuno sembra scorgere il chiarore di Calderara.
Foto: Antonio Calderara, La famiglia dopo il temporale
“Antonio Calderara 1903-1978”, viaSarfatti25, fino al 29 aprile 2015