Le poesie ruotano attorno al tema della morte, della perdita, della sconfitta esistenziale e di quanto al contempo la vita e gli altri possano essere spietati o indifferenti dinnanzi a questa condizione
La caratteristica che più può colpire, leggendo le poesie di Antonio Turolo, è certamente quella di una capacità di sintesi linguistica e allo stesso tempo di un ordine e una pulizia dei contenuti fuori dall’ordinario. Questo rende l’autore facilmente riconoscibile: egli mette subito in chiaro dinnanzi agli eventuali lettori i propri connotati letterari, nonostante quel riserbo del dire, sottolineato da Paolo Maccari nella nota che chiude il libro, teso a rastremare l’esposizione di sé attraverso la scrittura.
A parte il lato umano è una raffinata plaquette di poesie e brevi prose, che spesso a queste direttamente si riallacciano e a volte ne rappresentano semplicemente una versione più ampia, che parlano di solitudini umane senza fronzoli stilistici né tantomeno trasfigurazioni morali. Si va dal prete che muore per un ictus dentro un cinema porno, al pugile di successo finito a lavorare in uno squallido bar, al solitario che si arruola nell’Arma e poi compie, immerso nella sua paranoia, un attentato (sul modello di Taxi Driver) ecc.
Le poesie ruotano dunque attorno al tema della morte, della perdita, della sconfitta esistenziale e di quanto al contempo la vita e gli altri possano essere spietati o indifferenti dinnanzi a questa condizione: “La morte di un poeta è una notizia / che scivola leggera sugli schermi, delle telescriventi e le agenzie di stampa” (p. 11). “Dall’accumularsi della posta / bollette non pagate e altri reclami / (chi le scriveva più) / si insospettirono / finalmente i vicini.” (p. 15). “Il telefono lo tengo staccato. Non voglio sentire la solita signorina che parla svelta per farmi comprare la televisione nuova, che non la voglio. […] La mia tv mi piace, la tengo accesa e mi fa compagnia, come prima la mia sigaretta.” (p. 18).
Viene rappresentata, in un modo tagliente, la reazione minima e basita di chi assiste dinnanzi ad una vita che si spegne o finisce in rovina: come quando un medico riferisce dell’incertezza legata alla scelta delle più appropriate procedure diagnostiche, tenendo spietatamente tra parentesi “il lato umano” appunto di chi, a causa di quelle incertezze, ha subito una perdita dolorosa.
Il linguaguaggio usato è piano, senza particolari ricercatezze: lessico comune, sintassi semplificata, modi tipici del parlato, anacoluti: “te la cavi”, “leggo che aveva fatto l’impiegata”, “per farmi comprare la televisione nuova, che non la voglio”, “ci rinuncio anche a quelli”, “ci è dispiaciuto quindi proprio a tutti”. Nelle poesie il verso spesso coincide con la lunghezza della frase, poche sono le cesure che spezzano il ritmo creando momentanee sospensioni del significato, nelle prose i periodi sono molto brevi e tutto ciò dà ai componimenti un ritmo concitato da resoconto giornalistico di cronaca, in cui quello che deve balzare in primo piano è appunto il fatto concreto, l’accadimento reale e non lo stile o il modo espressivo dell’autore.
Quello che colpisce maggiormente di questa poesia è l’essenzialità del verso, sempre fortemente ancorato alla realtà e che mai si vuole alzare da terra verso accensioni metaforiche e astrazioni fini a sé stesse. I versi liberi, grazie alla bravura di Turolo nel cambiare improvvisamente lunghezza e ritmo, sono tante stilettate letali contro chi, nella poesia, pensa di trovare forme di ascensione mistica e consolazioni varie.
Certo, la quantità del materiale proposto è ridotta all’osso, ed è più difficile notare cedimenti stilistici quando chi scrive si espone poco: ma credo che questo risponda ad un modo di essere dell’autore, ad un’esigenza profonda di sobrietà (confermata, a quanto pare, dalle prove precedenti, sempre molto distanziate negli anni) e non sia quindi una semplice posa o un astuto tentativo di evitare i rischi dell’espressione.
La sobrietà, di questi tempi, è certamente un grandissimo merito.