Appunti per un 8 marzo ispirazionale

In Cinema, Letteratura, Weekend

Ha senso e quale l’ 8 marzo? Quest’anno si scende in piazza con Nonunadimeno ma, oltre la militanza, per me è il giorno in cui mi riconnetto e mi sento ‘figlia’ di molte altre donne e di una lunga storia. E grazie a Jacky Fleming che me l’ha raccontata, facendomi (anche) rotolare dal ridere

Ogni anno, puntuale, l’8 marzo porta con sé una domanda di senso: ce l’ha ancora, dov’è, in cosa consiste? Per quante di noi ce l’ha? E quel senso sta solo in un’interpretazione della giornata, diciamo così, in chiave di lotta e di protagonismo pubblico delle donne?

Se così fosse, quest’anno ci va bene: l’8 marzo 2017 cade in un momento di rinnovata energia del movimento delle donne su un intreccio di questioni – chiaramente visto con la Women’s march del 21 gennaio – che vanno dalla violenza maschile ai diritti civili, dall’antirazzismo alla precarietà del lavoro e delle vite alle questioni dell’ambiente. E in tanti hanno segnalato la novità che a muoversi, per prime in America e non solo all’inizio dell’era Trump, sono state appunto le donne. Per cui l’8 marzo in 40 paesi, il nostro incluso e stavolta in una dimensione internazionalmente connessa, le donne scioperano (alcune realtà del sindacalismo di base lo hanno indetto in Italia), si riuniscono in assemblea e scendono in piazza con il movimento Nonunadimeno che ha già organizzato la manifestazione di novembre a Roma. Gli otto punti dichiarati per l’8 marzo che sono usciti da una recente assemblea bolognese sono sulla falsariga di quel che si diceva: corpo, sessualità, aborto, difesa dei centri antiviolenza e delle loro pratiche di sostegno e intervento, ma anche diritto d’asilo e ius soli. Per dirla con loro: un 8 marzo contro oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia.

Quale che sia il livello di accordo con questi punti e con la loro declinazione (i femminismi sono tanti, occorre tenerlo a mente) e la volontà individuale di partecipare agli appuntamenti dell’otto marzo (qui quelli previsti a Milano), la presa di parola di una generazione più giovane di femministe ci fa bene e ha consentito a qualcuna, più in età, di tenersene serenamente fuori scegliendo una posizione di osservazione laddove, invece, ha dato modo ad altre – giovani o meno giovani – di stare nel gioco incrociato delle generazioni. Bene dunque e buon otto marzo a chi sciopera o sarà in piazza. Ma le altre, mi chiedo, le altre? Per loro, sbrigativamente riunite sotto l’etichetta delle non militanti, ha senso questa data?

Ho provato a girare questa domanda ad un piccolo nucleo di donne, la maggior parte delle quali giovani, che ruotano intorno a questo sito e ne ho ottenuto in risposta – eccezion fatta per una mia coetanea – un assordante silenzio. Il bello/brutto del silenzio è che può essere riempito a piacimento, nella vasta gamma che va dalle circostanze attenuanti – hanno tutte tanto da fare, non ho insistito abbastanza, il tempo era poco, la domanda posta male – alla più cupa e pessimistica delle opinioni, ahi signora mia, per capirci.

Dunque non lo so, non so rispondere alla domanda da cui sono partita e, diciamolo, non sono stata aiutata da quelle cui avevo chiesto lumi. So però che a un modo di vivere l’otto marzo io sono affezionata ed è pensarlo come il giorno, qualunque cosa io faccia, in cui mi riconnetto e mi sento ‘figlia’ di molte altre donne e di una lunga storia, che è quella nascosta, mai finita, imperfetta, piena di equivoci e contraddizioni, di costruzione della libertà e della soggettività femminile. Insomma in un certo senso un giorno di gratitudine. E come si fa, per esempio, a non essere grate a Jacky Fleming? Scoperta sugli scaffali della libreria di Colibrì, la sua Breve storia delle donne (ma in in inglese il titolo è decisamente più azzeccato The trouble with Women) mi ha fatto a) rotolare dal ridere b) pensare che è tutto terribilmente vero e che lei l’ha saputo disegnare e raccontare con una meravigliosa ironia.

Comincia così, per darvi un assaggio: “Una volta non c’erano le donne e questa è la ragione per cui non si trovano mai nei manuali di storia. C’erano gli uomini e alcuni erano geni. In seguito comparvero alcune donne, ma avevano la testa molto piccola e pertanto non erano in grado di fare nulla fuorché ricamare e giocare a croquet’. E continua, scartavetrando gente tipo Rousseau, Darwin e Freud, geni, e le loro teorie sul cervello o sulle attitudini delle donne: quando sono arrivata alle donne artiste giustamente finite, in quanto presuntuose, nella pattumiera della storia con relativo disegno di secchio dell’immondizia ridevo così forte che ho temuto di svegliare il dormiente accanto a me. Ma la tavola successiva è la più bella e dice così: ‘Per millenni le donne si sono recuperate l’un l’altra dalla pattumiera della storia’ e le vedete sulla pagina, piccole figurette che si danno l’un l’altra la mano per uscire dal gran secchio.

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Bello eh? Si sono date la mano anche Dorothy, Katherine e Mary, scienziate di vaglia che contribuirono nel 1962 a portare nello spazio il primo astronauta americano, John Glenn, a pochi mesi dalla storica missione del russo Jurij Gagarin. Eppure alla Nasa erano “hidden figures”, personaggi nascosti, come recita il titolo originale del film,  doppiamente discriminate come donne (fra le pochissime, peraltro) e pure nere: in Italia il film di Theodore Melfi, per il quale Ocatvia Spencer era candidata all’Oscar che poi è andata ad un’altra attrice black Viola Davis , è nelle sale con il titolo Il diritto di contare. C’è un po’ di retorica d’accordo, ma, direbbe Jacky, ne abbiamo recuperate altre tre dalla pattumiera della storia.

Potrei continuare a lungo tra le cose ‘ispirazionali’ che mi sono passate per le mani in questo periodo (dalle biografie di donne Serenissime ,tra cui la mia amata Rosalba Carriera ben raccontate da Alessandro Marzo Magno, alle  Storie della buonanotte per bambine ribelli di Francesca Cavallo ed Elena Favilli che contiene 100 storie di donne famose e che è il libro più finanziato, oltre 1 milione di dollari da tutto il mondo con il crowfunding di Kickstarter), ma mi fermo qui. Solo aggiungendo due notizie che c’entrano con la mia idea ‘ispirazionale’ di otto marzo. La prima:  l’8 i musei nazionali sono gratis e, in questi giorni, sul profilo Instagram di Musei italiani stanno passando 30 locandine digitali da Saffo ad Artemisia Gentileschi. Mica male. La seconda: dopo il premio che la ricorda dedicato al talento delle donne, nei giorni scorsi è stata intitolata alla giovane ricercatrice italiana Valeria Solesin, uccisa nell’attentato al Bataclan di Parigi, l’aula magna del liceo dove ha studiato, il “Benedetti-Tommaseo” di Venezia: altre ragazze, d’ora in poi, entreranno in quell’aula e sapranno di lei.

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