Il romanzo distopico a firma Burgess, che ha ispirato anche Stanley Kubrick, va in scena a Milano con le musiche di Morgan
Anthony Burgess, autore di Arancia Meccanica aveva provato a ipotizzare cosa sarebbe successo provando a sfasciare il mondo; stringendo e pian piano accartocciando nel proprio pugno una realtà zeppa di regole, precetti da seguire ed etichette comportamentali.
Infatti, come capita spesso alle mosche bianche, anche al sadico Alex tocca, prima o poi, finire spiaccicato contro l’enorme parabrezza della società. La regia di Gabriele Russo ci conduce con destrezza in un malsano gorgo di un’ora e mezza, sbattendoci in faccia, come fece anche il grande Stanley prima di lui, una condizione comune a tutti noi: il nostro essere non è frutto della nostra volontà, deriva bensì dalla manipolazione collettiva delle coscienze.
E la libertà di scelta allora?
È proprio questo incanalamento in un binario prestabilito che fa deragliare Alex (Daniele Russo) e di conseguenza anche i suoi “drughi” sottoposti (Sebastiano Gavasso e Alessio Piazza), spingendoli verso la violenza, allo stupro e alla dipendenza dalle droghe e dalle sinfonie di “Ludovico Van”. D’altronde com’è possibile che qualcuno che ambisca al male possa accogliere il bene a braccia aperte?
La colonna sonora ideata da Morgan è delirante al punto giusto. Proprio perché ciò che accade nella mente del protagonista Alex è un eccesso, una forma di creazione che si manifesta attraverso la violenza fisica e psicologica. Le sonorità a tratti richiamano i videogame anni ‘80, ma si incollano perfettamente all’atmosfera dello spettacolo e alle suggestioni creative della musica di Beethoven. Sbalorditive le scene e le installazioni di Roberto Crea che ci mostrano gigantografie di Beethoven, grovigli di fili e flebo di “latte più” calati dall’alto. Ad un tratto poi compare una stanza bianca. Il fatto che sia rappresentata contemporaneamente in diverse prospettive la rende qualcosa di eccezionale.
Durante il celebre episodio della violenza sessuale, l’interno dell’appartamento accoglie i movimenti rallentati dei giovani carnefici vestiti di tutto punto e interpretati con una spregiudicata consapevolezza da un cast di attori all’altezza delle aspettative. Il quadro sfuma poi verso i toni del rosso e allontanandosi sempre più, svanisce come l’accaduto venisse dimenticato. Si tratta dello stesso tipo di meccanismo che viviamo quotidianamente: la violenza ci raggiunge ogni giorno, attraverso i canali d’informazione, ma ci attraversa. Passa spesso inosservata fino a quando non giunge il giorno in cui ci tocca personalmente, nel nostro intimo. È in quell’istante che improvvisamente diventiamo sensibili. E l’assuefazione nei confronti della violenza pare svanita.
Che sia questa l’occasione giusta per cominciare a farsi delle domande?
Arancia Meccanica di Anthony Burgess, regia di Gabriele Russo, dal 13 al 24 aprile al Teatro Carcano di Milano