Fino al 9 febbraio il Pac propone la mostra “Australia. Storie dagli Antipodi”.
Mentre il mondo brucia di rabbia e più letteralmente di fiamme, in questo momento storico più che mai l’Australia è sotto ai riflettori per l’emergenza ambientale, climatica e faunistica causata dai devastanti incendi boschivi.
La sensibilizzazione verso questo continente sposa perfettamente la scelta del Comune di Milano, assieme a Silvana Editoriale e alcuni sponsor, di portare in mostra al Pac 32 artisti australiani di differenti età, retaggi culturali, popolarità e, non ultimo, radici.
L’esposizione è un viaggio virtuale fra concetti e tematiche idelologiche che ricostruiscono la storia identitaria australiana, ponendo l’accento sullo strappo generazionale ed etnografico che il Paese ha subito a causa delle colonizzazioni e operazioni di “civilizzazione” ed evangelizzazione europee, cause principali di una memoria locale lacunosa e frastagliata, di tribù scomparse e generazioni rubate.
I toni della mostra sono tutt’altro che blandi e per comprenderli al meglio ci si aiuta con il libretto descrittivo delle opere, che viene fornito in cassa.
Appena entrati Salvado de Que irrompe potente e con l’amara e purtroppo verissima denuncia nei confronti delle azioni “salvifiche” di alcune missioni religiose dei secoli scorsi, che pensando di poter garantire miglior istruzione e futuro alle popolazioni autoctone, li strapparono irrimediabilmente dalla propria Terra, causando morti premature e devastanti buchi nella memoria culturale e nelle loro radici.
L’opera è stata realizzata appositamente per questa mostra ed è estremamente concettuale: si tratta di un drappo di stoffa dello stesso punto di blu della bandiera australiana, con la scritta a bomboletta “Salvado” e del rosso scuro sul fondo del tessuto, che gocciolando ha creato una riga per terra come fosse sangue.
Il continente australiano viene interpretato attraverso la ricostruzione delle proprie origini aborigene e tribali, ridotte a stereotipi da souvenir, man mano che le colonizzazioni si sono appropriate di quasi tutto.
La mostra fa riflettere, unisce, interseca le culture, le persone, gli stili. Si spazia da opere fotografiche, pittoriche, scultoree a installazioni video e robotizzate.Judy Watson, propone per esempio un’opera che mette in connessione l’insediamento coloniale australiano con le posizioni attuali del governo nei confronti dei richiedenti asilo, Asilum Seeker Vessel.
Molto poetica e di spessore l’opera filmica realizzata da Angelica Mesiti, con Mother Tongue. Il mini film è un approfondimento sull’esperienza degli immigrati che cercano di integrarsi nella città danese di Aarus. Identità forti, nostalgiche, che tengono vivi i valori folkloristici delle proprie Patrie, in una città così diversa da casa. Palazzoni anonimi e ripetitivi nascondono vite e sfumature di realtà etnografiche ricche e fervide. Un po’ come vivere agli antipodi della propria comfort zone. Antipodi non a caso è il termine usato in titolo alla mostra: un concetto che emerge in varie forme ed espressioni fra le 32 opere esposte.
Le imagini scorrono piacevoli e intrise di sentimento come una magia, sottolineando con la lentezza dello scorrimento, la difficoltà e la non immediatezza nei processi di adattamento e integrazione.
Altrettanto interessante è come Callum Morton, canadese d’origine, ma residente a Melbourne, abbia proposto il busto robotico della sua celebre gallerista Anna Schwartz, che ci accoglie dapprima con un “welcome”, ma poi qualcosa va storto, si rompe la fluidità del robot ed emergono solo alcune parole, come “ yes / no”, così largamente utilizzate dai galleristi nel giudicare le opere degli artisti, per poi terminare la registrazione totalmente in un nonsense.
Il lavoro di Morton fa riflettere su quanto l’arte sia influenzata da un sistema farraginoso e incerto in cui al mercato importa solo se l’artista è famoso o no, se è quotato o no, se vende o no, per farla breve.
La mostra è ben descritta e si segue molto piacevolmente con l’utilizzo dell’opuscolo, sebbene sia complessa e non immediatamente accessibile, a una prima occhiata. Certamente piacerà a chi amamettere in moto la mente nel coglierne i concetti e i sottili collegamenti.
Delizioso, infine, il video di Maria Fernanda Cardoso, colombiana d’origine e residente a Sidney. Non potrete fare a meno di sorridere e provare sincera simpatia per il soggetto protagonista ballerino del suo cortometraggio The origin of Art I-II e per la sua eclettica performance. Ci saprete dire.
Australia. Storie dagli Antipodi, in mostra al PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea, fino al 9 febbraio.