Abbiamo incontrato Fabio Roncato (Rimini, 1982) per parlare del suo lavoro, dei suoi progetti, di stelle marine e Narciso e Boccadoro
Incontro Fabio nel suo studio, un’ex autorimessa nella periferia ovest di Milano. Il luogo sembra uscire dalle pagine di Giorgio Scerbanenco, dove narra tutte le sfaccettature della metropoli dura, cruda e terribilmente affascinante che Milano è stata negli anni ’60.
Lo studio è enorme, e nonostante si trovi in un seminterrato, sorprendentemente luminoso.
“La luce naturale è fondamentale per un artista. Non essendo fissa, cambia spesso intensità, restituendo punti di vista sempre diversi”
Fabio Roncato è uno scultore anomalo. Mentre la figura canonica dello scultore rimanda al concetto di cercare un materiale che possa esprimere le proprie idee e cercare di dominarlo fino a farlo diventare una seconda pelle, la sua idea di artista è associata a quella dell’esploratore, che traccia un percorso di continua sperimentazione, dove i materiali sono solo la circostanza utile a tracciarne i punti.
“Non sono legato ad un materiale più che ad un altro. Ciò a cui tengo sempre fede è la malinconia dell’essere umano, che non è in grado di comprendere la propria esperienza attraverso i propri sensi, e cerca di affrontare con i propri mezzi quest’atmosfera di sospensione”
Le sue parole mi ricordano il pensiero di Jacob von Uexküll, uno dei più grandi biologi del ‘900 che aveva teorizzato come il modo di esperire l’ambiente fosse conseguenza della conformazione fisica del soggetto. Un essere umano, avendo un asse di simmetria che lo taglia a metà (pensiamo all’Uomo Vitruviano di Leonardo), è portato naturalmente ad orientarsi secondo i principi di destra e sinistra, poiché ha un centro di simmetria assiale. Una stella marina, avendo cinque braccia, si orienterebbe nello stesso spazio seguendo i concetti di orario e antiorario, avendo un centro di simmetria centrale.
Mentre gli espongo questa riflessione, lo vedo ragionare in silenzio come il marinaio pronto a salpare verso la prossima isola lontana di cui ha sentito parlare la sera prima.
Ci soffermiamo immediatamente sui lavori della serie Momentum, l’opera che per prima mi ha attratto verso il suo lavoro e che mi ha portato a volerlo conoscere meglio.
Per realizzare questi lavori, Fabio si immerge nelle acque di un fiume con della cera fusa, che al contatto con la corrente si raffredda e si modella in forme imprevedibili, nell’arco di un istante brevissimo. Successivamente, egli usa queste forme in cera come calco per le sculture che realizza in alluminio.
“I calchi in cera non li vendo. Li espongo, poiché fanno parte del processo artistico e ne sono una parte fondamentale, ma preferisco non venderli perché, essendo in cera, sono destinati a sciogliersi. L’ideale sarebbe esporli insieme alle sculture, poiché si completano”
La statua in alluminio e il calco in cera sono apparentemente molto simili, eppure diversissimi. Ovviamente si differenziano sia dal punto di vista estetico che da quello tattile, data la differente risposta dei due materiali alla luce e alla mano di chi le accarezza.
Sono tuttavia molto diversi anche a livello concettuale. Sono lati opposti della stessa medaglia, uguali e contrari, mostrando entrambi uno dei temi eterni della scultura: quello della lotta tra fragilità e persistenza.
L’alluminio, pesante e quasi inscalfibile, incarna uno dei desideri supremi dell’artista, quello che Hermann Hesse descrive in Narciso e Boccadoro come uno degli scopi principali dell’arte, “il superamento della caducità, il rendere eterno ciò che è transitorio”.
La statua in cera è al contrario la testimonianza estrema di quella stessa caducità, essendo condannata a dissolversi alla prima estate rovente.
Mi mostra quindi il suo ultimo lavoro, Landscape.
In quest’opera egli combina creta, schiuma poliuretanica e vernice; immerge il composto in acqua e aspetta che gli elementi si dissolvano e si imprimano sulla superficie, lasciando che emergano le increspature e i segni del processo chimico.
“Ho scelto questo nome per due ragioni. La prima risponde alla volontà di dare un titolo aperto, che lasci allo spettatore diversi percorsi interpretativi. La seconda è figlia del mio modo di interpretare l’arte come momento di esplorazione. Sono rimasto molto colpito da Ultramar, un testo che con l’arte non ha niente a che fare, ma che può dare molte suggestioni a un artista. Questo saggio parla dello shock che seguì alla scoperta delle Americhe, e di come gli occidentali avessero bisogno di nuove parole e nuovi concetti per descrivere ciò che era così diverso dal loro mondo. Oggi, sapendo che il mondo non è più nostro, l’arte può essere uno strumento per afferrare e comprendere le immagini che ci circondano”
Mi mostra queste opere a fianco ad altre sue creazioni, che verranno esposte insieme ai Landscapes a Casa Testori, a Milano, nel prossimo futuro.
La prima, Conscious Thoughts, è realizzata collegando un dispositivo ad alta tensione ai due lati di una tavola in legno bagnata di inchiostro nero. Fabio realizza delle fotografie in negativo che testimoniano il passaggio delle scariche elettriche tra i due poli, stampa le foto e le imprigiona tra due strati di vetro.
La terza opera, ancora senza titolo, è eseguita con inchiostro e candeggina su carta intelaiata, e rappresenta il fenomeno delle tempeste solari (è l’immagine di copertina).
“Queste tre opere dialogano molto bene a livello visivo, ma devo ancora pensare a una narrazione che le metta in relazione”
“E se fossero tre declinazioni su scala diversa della nostra concezione di paesaggio? Il paesaggio mentale formato dalle nostre sinapsi, il paesaggio fisico delle esplorazioni via mare, e il paesaggio spaziale e infinito che caratterizza l’universo. Che ne dici?”
“Ecco. Mi piacciono i curatori coraggiosi.”
Immagine di copertina: Fabio Roncato, Senza titolo, 2021, inchiostro e candeggina su carta intelaiata, cm 80×104.