Come e perché in questa cittadina attraversata dalla più cruenta delle contraddizioni americane, la segregazione razziale, alcuni grandi cantori della musica americana misero radici. A cominciare da Bruce Springsteen
Tutte le grandi storie hanno qualcosa di epico nelle loro radici, e quella che si racconta nel film Asbury Park: lotta, redenzione e rock and roll è la radice di una grande vicenda artistica e umana, quella di una comunità fatta di mare, follia e rock and roll che è nata e morta più volte e che ha dato i natali ad alcuni grandi eroi della musica, primo fra tutti Bruce Springsteen.
Un po’ di storia (peraltro raccontata molto bene nel film): Asbury Park è a un’ora circa da Manhattan, nel tempo cresce fino a diventare una località di svago piena di case, parchi di divertimento, casinò e locali dove si suona, si mangia e si beve fino a ore improbabili. Tanto turismo e tanti concerti live di livello, basti pensare che alla fine degli anni sessanta fra gli altri suonarono in zona gruppi come i Doors e gli Who.
In realtà la città era (ed è) divisa in due, East e West Side, cioè il lato black della città che a quell’epoca soprattutto non se la passava proprio bene a causa del clima razzista che attraversava gli Stati Uniti con discriminazioni sul lavoro e nella vita quotidiana.
Ma l’anima della città vive comunque con grande tolleranza e piacere il suono che esce dai locali in riva al mare, dove crescono band e artisti capaci di suonare fino a notte sul palco di club come l’Upstage, vero luogo dell’anima per la generazione di giovani e indiavolati rocker assetati di vita come il già citato Springsteen, ma anche il suo degno e amato compare Little Steven, David Sancious, Southside Johnny e tanti altri.
La musica unisce, e non crea barriere. Ma la fatica di vivere mondi differenti per colpa di assurde ingiustizie razziali il 4 luglio (festa del ringraziamento) del 1970 fa esplodere ad Asbury Park una dura e distruttiva rivolta della comunità nera, che a colpi di molotov e scontri devasta tutto quello che incontra, immersa in una rabbia cieca e senza scopo se non quella di dimostrare che le cose NON possono andare avanti così.
Il bilancio è devastante: diversi stabili bruciati, tanti locali distrutti, e la gente di New York che smette di andare a divertirsi ad Asbury Park. Declino, miseria, abbandono e chiusura della scena musicale e non solo.
Poi c’è la rinascita, raccontata nel film attraverso le voci vive dei grandi eroi musicali di quelle stagioni: Springsteen ricorda i suoi esordi, quando suonava all’Upstage fino alle sei del mattino e poi scappava all’alba in cerca di quella verità e quella vita che finirà per cantare durante tutta la sua carriera; Little Steven, che si aggira per il vecchio Upstage abbandonato con in braccio il suo cane (poco convinto dell’operazione), racconta di quanto fossero pazzi e incredibilmente geniali i fondatori, Tom Potter e sua moglie Margaret, veri pionieri del genere, capaci di creare un locale aperto tutta la notte con strumenti e amplificazione fissa sempre disponibili per fare jam session e accessibile anche ai minorenni.
Il film è una ballata senza tempo nella storia di questi e altri “ragazzi”, che narrano delle follie dei loro anni settanta e di come ad Asbury Park si fossero create le condizioni per far crescere una generazione di sognatori uniti dalla musica che andava oltre ogni barriera. La ripresa della città che resiste con quello che è rimasto in piedi (dopo la rivolta un solo locale per suonare) e riparte grazie anche alla comunità di artisti diventati famosi che tornano volentieri a dare una mano.
Il finale è un po’ lento (la parte dedicata alla scuola di musica è sicuramente interessante e importante, ma un po’ lunga nell’economia del racconto), ma si riabilita alla grande grazie alle riprese del live che “i vecchi ragazzi” hanno regalato al loro antico luogo dei sogni e delle innocenze perdute.
Little Steven e la sua band hanno fatto da base al ritorno on stage di tanti di quelli che suonavano all’epoca in quel mondo meticcio e pieno di energia.
Ed ecco che sul palco dello Stone Pony (altro locale leggendario, aperto ad Asbury Park nel 1974) con Little Steven (sul palco senza cane, per fortuna) ci sono tutti i grandi reduci che abbiamo ascoltato nel racconto e che suonano versioni pantagrueliche di classici del rock and roll come Lucille, Johnny Be Good e altre ancora. E sul palco si uniscono le generazioni (con Springsteen e Company ci sono anche i ragazzi della scuola, dodicenni già bravissimi) per dire ancora una volta che la musica unisce, e che Asbury Park è unita dalla voglia di suonare, far casino e sentirsi vivi di questa band di vecchi e nuovi dreamers, che tengono viva quella meravigliosa storia che si chiama rock and roll.
Asbury Park: Lotta, Redenzione, Rock and Roll sarà nei cinema italiani solo il 22, 23 e 24 maggio.
Se invece volete respirare un po’ del profumo live del rock e del soul di quel mondo, ci sono due appuntamenti dal vivo: il primo è con Jake Clemons, nipote del leggendario Clarence e attuale sassofonista della E street band del Boss. Sarà live in Italia dall’11 al 21 giugno, mentre il batterista della band Max Weinberg sarà a Milano il 19 luglio al Castello Sforzesco con un concerto juke box dove suonerà quello che chiederà il pubblico…da non perdere. (Info qui)