La compagnia Aterballetto ritorna al Piccolo per la sesta stagione di collaborazione: nessun manierismo, tanto sentimento
Imagine. There is a place… c’è un luogo del corpo, delle parole, che dà forma al pensiero e alla ragione, ma è governato da un’anima concupiscibile, come nel mito platonico del carro e dell’auriga, in cui la ricerca di equilibrio tra sensibile e spirituale si trasforma in dialettica, in un dialogo che per Aterballetto è risolto all’interno di un unico io. Si apre con Words and Space di Jiri Pokorny questa stagione di Aterballetto, fondazione nazionale della danza con base a Reggio Emilia, al Piccolo Teatro di Milano.
Una stagione che ha come protagonisti tre coreografi under 35 e i giovani danzatori della compagnia che dal 2012 calca il palco dello Strehler.
Da quella stagione 2011-2012 a oggi i lavori di Aterballetto, ringiovanendo, hanno acquisito una forma sempre più concettuale: da Romeo e Giulietta (Romeo and Juliet), passando per Don Chisciotte (Don Q), si arriva al Rain Dogs ispirato all’album di Tom Waits, ad Upper-East-Side di Michele Di Stefano e, quest’anno, oltre che a Words and Space, a Narcissus del barese Giuseppe Spota e a Phoenix di Philippe Kratz. Tre lavori sull’identità del contemporaneo, sempre più sperimentali, nonostante i temi trattati siano fortemente legati alla realtà: dallo spazio in cui l’io definisce la propria dimensione, a quello in cui trova invece la sua distruzione, fino alla ricerca di un percorso totale, di comprensione o di superamento dei limiti.
Aterballetto riesce meravigliosamente nella resa scenica di questa ricerca. I danzatori incantano, ormai da anni, il pubblico del Piccolo, perché la forma non è solo immagine ma contenuto, arriva forte allo spettatore, proprio come l’onda disegnata in apertura dai dodici corpi dei ballerini che sembrano un esercito. La preparazione del corpo di ballo stupisce per leggerezza e intensità, ed evita, con risultato positivo, quella precisione tecnica maniacale di alcune compagnie d’oltreoceano che appaiono innaturali, valorizzando contrariamente le “sporcature” come segni di naturalezza e del sentimento del gesto.
Aterballetto rimane però attenta al dettaglio: i costumi, l’equilibrio del colore e, soprattutto, le luci avvolgono i protagonisti sulla scena. Ed è proprio il disegno luci a far vivere, insieme al movimento, il palcoscenico e le immagini evocative disegnate dal lavoro di gruppo. Le proiezioni video e le musiche, dal repertorio barocco alle composizioni di Joby Talbot e Borderline Order, scandiscono il tempo, immortalandone la dimensione contemporanea.
Il momento della rappresentazione diventa perciò un momento vissuto insieme agli interpreti, che danno forma a un unico corpo, a un’unica materia in movimento. Si è trascinati all’interno della dialettica dei danzatori, per analizzare e comprendere la realtà, come secondo la citazione che riporta la compagnia sul programma di sala: “chi non danza, ignora quel che accade”. Tutti possono comprendere la danza, è un linguaggio diretto, fisico ed emotivo allo stesso tempo. Aterballetto sa quel che accade, soprattutto nel mondo artistico, sa che rinnovarsi è vitale, conosce le radici e l’attualità della danza, conosce l’Italia e l’estero, si è fatta conoscere e sta facendo, finalmente, conoscere all’Italia e a Milano la realtà del balletto contemporaneo. Senza manierismi, ma con grande sentimento.
(Foto di Nadir Bonazzi)