In tutto il mondo gli attori inglesi di buona famiglia come Cumberbatch e Redmayne fanno furore. Ma conviene all’arte dimenticare il resto della società?
L’ultima, in ordine di arrivo, è la dichiarazione di James McAvoy, il protagonista di Espiazione e di X-men. In maniera ecumenica loda gli attori inglesi di buona famiglia e il loro lavoro, ma sottolinea anche la pericolosità di una predominanza altoborghese nel mondo artistico britannico.
Il dibattito, nato tempo fa e rimbalzato sulla maggior parte dei quotidiani inglesi, è di quelli apparentemente leggeri, ma che nascondo una sostanza. Dopo i recenti successi di attori di razza come Benedict Cumberbatch (The Imitation Game), Eddie Redmayne (La Teoria del Tutto), Dominic West (le serie tv The Wire e The Affair), Damien Lewis (Homeland) e Tom Hiddelstone (Avengers) si è iniziato a incrociare le loro biografie. Tutte hanno svelato un background fatto di famiglie alto-borghesi (come il cantante James Blunt che viene da una famiglia con tradizioni militari che risalgono al X secolo e sposato con una bis bis nipote del Duca di Wellington, il vincitore della battaglia di Waterloo), se non addirittura aristocratiche (Kit Harington, il Jon Snow di Games of Thrones è un discendente di re Carlo II attraverso la nonna materna).
Sono stati tutti educati in scuole private come Eton e Harrow e hanno avuto la possibilità di frequentare le migliori drama schools del paese, spesso in università prestigiose come Cambridge e Oxford. In sostanza, negli ultimi anni i grandi del cinema e del teatro inglese non sono diventati dei privilegiati grazie allo star system. Loro nel privilegio ci sono nati.
La questione può sembrare frivola, una faccenda che rimbalza fra salotti e red carpet, ma non lo è se nella discussione è entrato persino il ministro della cultura del governo-ombra inglese Chris Bryant, parlamentare laburista. In una delle sue dichiarazioni pubbliche, Bryant ha detto che se fosse diventato realmente ministro della cultura la sua prima preoccupazione sarebbe stata di risolvere quella che ha chiamato la “siccità culturale” della gran parte del paese a causa della scarsità dei finanziamenti, oltre a voler incoraggiare il mondo delle arti ad assumere persone provenienti da differenti background sociali e culturali.
La verità è che nel mondo dell’arte e dello spettacolo britannico si riflette il periodo che il paese sta attraversando, nel quale le divisioni dovute alla classe sociali stanno crescendo in modo spaventoso. La Gran Bretagna è una nazione dominata da enormi ricchezze individuali, da un’aristocrazia snobissima e dal culto delle relazioni utili. E pensare che ci furono tempi migliori.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, probabilmente sulla scia dell’entusiasmo post bellico, il Regno Unito conobbe un breve periodo in cui le differenze di classe sembrarono stemperarsi; un momento in cui la volontà, il talento e il duro lavoro potevano spianare la strada a quelli davvero meritevoli accogliendoli in seno al dorato mondo dell’upper class. Una possibilità ancora più attuabile se ci si distingueva nel mondo della cultura e dello spettacolo, che dopo la guerra conobbe una incredibile fioritura creativa.
Negli anni ’60, attori come Albert Finney, Michael Caine, Terence Stamp o Tom Courtenay, tutti provenienti dalla working class, diventarono le icone di un paese che poteva offrire a tutte le sue creature opportunità meravigliose, (persino Peter O’Toole, così dinoccolato e dalle movenze aristocratiche, altri non era che il figlio di un carpentiere che all’occasione si trasformava in un allibratore e che per anni ha trascinato la famiglia in giro per l’Inghilterra a seconda di dove si tenessero le corse automobilistiche).
Lo stesso valeva per grandi attrici come Glenda Jackson e Julie Walters. Quest’ultima, figlia di un’impiegata postale e di un imbianchino, ha anche recitato insieme a Michael Caine in un delizioso film dell’83 Educating Rita, proprio nel ruolo di una parrucchiera che decide di farsi una cultura grazie alla possibilità di usufruire dei corsi dell’Università Libera.
Intendiamoci, nessuno mette in questione le capacità artistiche dei Cumberbatch e dei Redmayne, quest’ultimo ha persino vinto all’ultimo Oscar come miglior attore protagonista. E ci mancherebbe, visto che hanno frequentato corsi di recitazione che costano almeno 30mila sterline l’anno. La maggior parte di loro ha in più una dote che fa la gioia di qualsiasi conduttore televisivo: la naturale capacità di stare in un salotto.
Prendiamo Cumberbatch: beneducato, di aristocratico aspetto, perfetto conoscitore delle regole dello “small talk”, che ha evidentemente imparato fin da piccino nella casa paterna in pieno centro a Londra. Ha frequentato Harrow, vanta un bis-bisnonno console generale in Turchia ai tempi della Regina Vittoria e in più è imbattibile con le imitazioni. Cos’altro si può desiderare! In tempi così conformisti come quelli attuali, la gente che sa stare al mondo rende ogni apparizione televisiva riposante nella sua prevedibilità.
Negli anni ’60 gli standard erano diversi. In modo sottocutaneo, ma che affiorava un po’ di più giorno dopo giorno, il bisogno di ribellarsi agli impaludamenti dell’establishment britannico contagiava tutti i bad boys dello spettacolo. Invitavi O’Toole o Finney e non sapevi mai come sarebbe andata a finire, fra sbronze colossali e provocazioni disorientanti. Ma ribelli o allineati che fossero, negli anni passati questi figli del popolo hanno avuto la loro chance.
Oggi, con il problema dei costi delle scuole e soprattutto la necessità di mantenersi a galla per anni in attesa di sfondare nel sempre più difficile mondo dell’arte, i ragazzi di bassa estrazione sociale hanno scarsissime possibilità di intraprendere una qualsiasi carriera artistica. E non si tratta solo di soldi. Ma di conoscenze, opportunità, di poter accedere a uno stage grazie alle informazioni di un cugino ben introdotto, di poter vivere nel comodo studio di una vecchia zia nel centro della città, fare un colloquio in una casa editrice diretta da un’amica di tua madre. Solo i cosiddetti Old Etonians ce la possono fare.
Intendiamoci, il problema è sempre esistito, ma nello spietato show business attuale si è raggiunto il livello di guardia. Perchè la cultura si rigenera attraverso la differenza e lo scambio. Se esistono figure diverse, ci saranno anche scrittori che scriveranno per dar voce a questi mondi, produttori che scommetteranno su programmi diversi da Downton Abbey e sceglieranno non solo attori con un buon accento e la capacità di indossare con naturalezza il doppiopetto confezionato a Savile Road.
Sebbene Chris Bryant lodi Eddie Redmayne e il suo Oscar, sottolinea anche che non si può pensare di «avere una cultura dominata solo da Eddie Redmayne, James Blunt e i loro simili». Non è un caso se Educating Rita sia dei primi anni ’80, i film più duri di Ken Loach risalgano agli anni ’90 e la serie tv Shameless con protagonista la proletarissima famiglia Gallagher nasca nel 2004, mentre in questi anni recentissimi si preferisca puntare su più tranquilli biopic alla The Imitation Game. Ma anche Mr Bryant e la politica tutta dovrebbero farsi delle domande.
Perchè, prima ancora di investire nella cultura, è nel welfare e nella scuola che bisognerebbe concentrare gli sforzi maggiori. Sono questi i primi difficili gradini da scalare per un giovane che oggi voglia costruirsi una carriera del mondo dell’arte e della cultura. E non solo nel Regno Unito.
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