«Io, l’amore, la musica, gli stronzi e Dio»: Marco Castoldi si racconta. Un’affabulazione “filosofica” disordinata almeno quanto le battute che ne hanno fatto la star di X Factor
Inizio con una confessione. Tutti guardano X Factor per la potenza visiva del programma, le scenografie, le storie e il talento dei cantanti. Io no. Certamente finirò per apprezzare anche questo, ma per me restano un contorno.
Io guardo X Factor per Morgan. Amo sentirlo parlare, farmi travolgere dal fiume di parole che è in grado di riversare sui telespettatori. Un vero recordman della logorrea umana. Pendo dalle sue labbra, incantato dai suoi discorsi sempre in bilico tra il lampo di genio e lo sproloquio senza capo né coda.
Morgan ha su di me un sinistro effetto ipnotico, e questa consapevolezza si rafforza in quei momenti squisiti in cui affiora il sospetto, che in realtà stia “supercazzolando” l’Italia intera da ben otto edizioni di X Factor. Effimeri momenti di consapevolezza in cui capisci che è andato talmente in là nel suo discorso da non ricordarsi da dove sia partito, per poi continuare a parlare con totale naturalezza fino ad un’apparente conclusione logica. Il giusto riconoscimento a stato dell’arte del metodo usato da quella tipologia di studenti che, avendo studiato poco, strappa i suoi voti sfinendo il professore di parole.
Ma c’è un doveroso distinguo da fare se si vuole essere onesti con Morgan. Lui non ha studiato poco, tutt’altro. La sua unica sfortuna è trovarsi costretto nei tempi televisivi. Un ambiente che spinge a esprimersi per spot, quando a lui servirebbero i tempi di un monologo teatrale.
Il libro di Morgan, pubblicato da Einaudi nella collana Stile Libero, è un monologo teatrale. Serve uno sforzo minimo per immaginare Marco Castoldi, in arte Morgan, mentre si racconta a una platea. Sulla scena solo lui e il racconto della sua vita. Una biografia caotica e disordinata, quasi un pretesto per toccare i punti che si trovano al centro dell’universo dell’artista. Io, l’amore, la musica, gli stronzi e Dio, come promette il sottotitolo in copertina.
L’Io finisce quasi per perdersi, uno sfondo rispetto alla musica, che è la vera ossessione creativa ed esistenziale del cantante. Un amore che inizia con le prime musicassette dei Duran Duran ascoltate nei viaggi in macchina con la famiglia e che prosegue ancora oggi, anche se trasformato in un lavoro che porta avanti con una meticolosità maniacale. Lui per primo ammette di essere l’incubo dei produttori, mai del tutto rassegnati ad aspettare sei anni per un nuovo album che continua a cesellare nei dettagli.
Poi ci sono gli stronzi, ma qui la lista si fa lunga ed è molto più gustoso leggere il corrispettivo scritto delle sfuriate televisive di Morgan.
E Dio? «Per quanto possa illudermi nei momenti di autoesaltazione, non sono Dio, cioè non sono Johann Sebastian Bach».
Ancora una volta si torna alla musica. Sembra di trovarsi al bar con uno di quegli amici che riportano qualunque discorso al loro unico chiodo fisso, non importa quanto ci si allontani dall’argomento. Il chiodo fisso di Morgan è senza dubbio la musica: la sua vita. Non stupisce che la sua autobiografia finisca per diventare pagina dopo pagina il manifesto filosofico alla base del lavoro di Marco Castoldi, in arte Morgan.
O almeno credo sia così. Magari quell’amico al bar ha bevuto una birra di troppo. E io con lui. Il risultato finale è un calderone di parole tanto disordinate quanto evocative. Anche il suo pensiero scritto resta caotico quanto la sua espressione verbale. Ammetto che mi rimane il sospetto di essere stato “supercazzolato” ancora una volta. Ma in fondo io adoro Morgan anche per questo.
“Il libro di Morgan” di Marco Castoldi (Einaudi, pp. 232, 17,50 euro, e-book 10,99 euro)