Hänninen, cercando l’invisibile in autostrada

In Weekend

Ciò che è dimenticato: la ricerca del fotografo dal Cpt di Lampedusa al microcosmo tra Milano e Bergamo, ora in mostra

Giovanni Hänninen, italo-finlandese, classe 1976. Dottore di ricerca in ingegneria Aerospaziale, docente al Politecnico di Milano ma soprattutto fotografo. Cominciamo dal presente: il 25 settembre ha inaugurato alla Fondazione Dalmine la mostra Mi-Bg 49 km visti dall’autostrada. Com’è nato questo progetto?
La mostra nasce grazie ad un bando promosso da Regione Lombardia e Triennale di Milano. Insieme ad Andrea Gritti, Paolo Mestriner e Davide Pagliarini, abbiamo proposto l’analisi del tratto  di autostrada tra Milano – Bergamo, suddividendoci i ruoli e creando  una mostra composta da 4 sezioni: Architetture (Gritti), Paesaggi (Pagliarini), Elementi (Mestriner) e Fotografia, la mia , con 56 immagini stampate in grande formato. In questo modo abbiamo declinato in quattro maniere diverse l’entità autostrada. Ognuno di noi ha lavorato con estrema autonomia, portando avanti il proprio punto di vista con assoluta libertà; il lavoro di curatela è stato principalmente di coordinamento e messa insieme di questo sistema abbastanza complesso. Nel mio caso, con la fotografia, la sfida è stata documentare quella parte solitamente non accessibile, proprio perché completamente schermata dai pannelli insonorizzati dell’autostrada. Dietro questi ostacoli si celano le realtà più variegate: fabbriche, parchi divertimento, aeroporti, discoteche, abitazioni.. tutti luoghi che hanno in comune un grande senso di oblio.

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Si tratta dunque dell’indagine di un luogo da un lato trafficato (l’autostrada), ma al tempo stesso abbandonato (le realtà che sono nate ai bordi di essa): che sensazioni hai provato a svelarne l’intimità ?
In genere quando fotografo mi piace interagire con la gente del posto, le persone ti vedono, si incuriosiscono, in quel momento tu  sei inevitabilmente esposto ed è come se fossi uno statement: io sono qui e sto facendo questa cosa. Naturalmente crei delle reazioni. Nelle foto di questo progetto in cui compare una presenza umana, sono state  le persone ad avvicinarsi e a parlarmi delle difficoltà reali che esistono in quei contesti, dal rumore, all’inquinamento, etc. La sensazione che ho provato è che si sentissero nascosti, dimenticati all’ombra di una barriera. Dunque nel momento in cui arriva qualcuno che vuole mostrare e raccontare quella situazione, la reazione è di apertura. Una cosa simile mi successe anni fa quando andai a fotografare Librino, quartiere periferico di Catania: nonostante la difficoltà di quel luogo, le persone si mostrarono aperte e volenterose nell’ aiutarmi a raccontare quella realtà. Chiaramente si tratta di due situazioni completamente diverse, ma entrambe accomunate dalla sensazione di oblio. La macchina fotografica in questi contesti è vista come qualcosa di positivo, un mezzo che svela. Non si tratta però di denuncia, piuttosto è una presa di coscienza di quello che c’è ed un’opportunità per lo spettatore di costruirsi un’opinione a riguardo, possibilmente con spirito propositivo. Esattamente come accadde per cittàinattesa, progetto di ricerca creato a quattro mani con Alberto Amoretti: luoghi che hanno una grandissima potenzialità nel momento in cui non hanno più una loro funzione predeterminata, che sono in attesa che qualcosa succeda. Un passato definito e un futuro incerto, che può racchiudere una bella sfida.

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 Come scegli i luoghi da fotografare? Che tipo di processo di ricerca metti in atto?
Quello che mi ha sempre affascinato della fotografia è il poter documentare luoghi normalmente inaccessibili. Nel mio processo di ricerca, uso spesso le mappe, la visione aerea o dall’alto che mi permette di allargare notevolmente la visuale e di avere una sorta di preview di quello che c’è oltre all’ostacolo. Fu il mio primissimo approccio quando iniziai a fare fotografia, circa 8 anni fa, cominciando dal CPT di Lampedusa, dove neanche i militari potevano entrare in certe zone, proseguendo col progetto Milano UP, quando i cantieri di una nuova città crescevano indisturbati dietro ad alti muri, fino ad arrivare a Mi-Bg 49km visti dall’autostrada. In questo caso si tratta di un pezzo di autostra dove non si vede niente, la visione è bloccata dai pannelli schermati ed è come se fossi in un lungo tunnel. Per me è stata una sfida proprio perché mi piace viaggiare di giorno, guardarmi intorno, oltrepassare la barriera.. Ho quindi deciso di focalizzare la mia attenzione ancora una volta su quello che non si vede e cercare di far vedere il meno possibile quella che invece è la protagonista: l’autostrada.

La mostra Mi-Bg 49km visti dall’autostrada sarà visitabile fino al 31 ottobre 2015 presso la Fondazione Dalmine e in vari luoghi di Dalmine. Info: segreteria@fondazionedalmine.org – 0355603418

Fotografie © Giovanni Hänninen

Image consulting Stefania Molteni

 

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