Maria Vittoria Backhaus è l’attesissima protagonista della seconda edizione del progetto Vintage Prints curato da Denis Curti. Dal 9 Febbraio al 3 Marzo, nella galleria milanese Still, sarà possibile visitare l’esposizione formata da 30 stampe originali della fotografa che scandiscono i punti salienti della sua carriera artistica dagli anni Sessanta al 2000.
Il denominatore comune, il filo rosso dell’intera collezione è il supporto delle fotografie, rigorosamente scattate in pellicola e stampate in camera oscura. Tuttavia da questo minimo comune denominatore infinite sono state le ricerche e sperimentazioni condotte dalla Backhaus; dai servizi di moda alle fotografie d’arredamento e architettura, dagli still life commissionati fino ad arrivare alla rappresentazione delle piante siciliane per puro gusto personale, la fotografa non ha mai tradito la sua cifra stilistica traboccante di creatività e ironia.
Impegnata politicamente sin dalla giovane età, viaggiò per anni come fotoreporter con una pesantissima Hasselblad al collo, documentando il mondo operaio, le rivolte studentesche di Parigi e il banditismo sardo. La fotografia fu per la Backhaus in prima istanza un lavoro; il solo strumento che le avrebbe permesso davvero di “raccontare e documentare il suo tempo”. La vicinanza con l’arte nacque qualche anno più tardi, negli ultimi scampoli degli anni Ottanta, quando “quell’accidenti di ragazza ricca di humor e di spirito di iniziativa” – come la definirà in seguito Isa Tutino – fu chiamata a lavorare per la neonata rivista “Casa Vogue” inaugurando l’inizio di una lunga collaborazione con Condè Nast.
Così la fotografa milanese, dagli occhi grandi e neri “che davano l’impressione di saper vedere dentro ed oltre alle cose” progressivamente fu portata ad avvicinarsi a una vita in cui non si poteva prescindere da quella gratificante disciplina che è l’estetica. Una nuova forma mentis che le fece prediligere il bello al ricco, con punte di trash e kitsch quando ancora nessuno sapeva cosa effettivamente fossero.
E questa cura del dettaglio, questa incredibile attenzione a ogni singolo aspetto, la Backhaus le esplicita massimamente nella realizzazione del catalogo stampato proprio a coronamento della mostra. Non uno stereotipato pamphlet tradizionale bensì un rotolo; dieci centimetri di altezza per un metro e sessanta di lunghezza in cui le immagini scorrono una accanto all’altra. Tutte sullo stesso piano ontologico, gnoseologico e spaziale. Non esistono immagini più importanti di altre, tutte concorrono ad essere una valida sintesi di quello che possiamo definire “il racconto di uno stile italiano; dove non si parla solo di moda, ma di un Italian lifestyle che sarebbe diventato il manifesto di una certa idea di bellezza capace di migliorare la quotidianità della vita, con oggetti di qualità interpreti del proprio tempo”.
Le immagini sono impresse nel rotolo, esattamente come le fotografie sono esposte all’interno della galleria, appoggiate su una lunga mensola come fossero all’interno di una abitazione privata.
Per la Backhaus, del resto, le fotografie non sono come direbbe Susan Sontag “precise fette di tempo ed attimi privilegiati” ma un flusso in continuo divenire, le cui istantanee altro non sono che piccoli oggetti che meglio ci facilitano nel percepire la storia e la sua totalità; elementi che ci aiutano a carpire i momenti prima e quelli dopo il click.
Infatti per sua stessa ammissione la fotografa confessa di non riuscire mai a stare ferma; di essere impossibilitata a smettere di fotografare perché la fotografia è come la vita che ci incalza. Ed è anche per questo che le ambientazioni si fanno complesse e i set estremamente ricercati tanto da farle ammettere che le sue fotografie “erano sempre molto costose da realizzare e mi piaceva inserire il prodotto all’interno di un racconto, partire da un’idea che a sua volta mi veniva suggerita dal cinema, dall’arte e soprattutto dall’attualità”.
Maria Vittoria con la sua ricercatezza, i suoi insettini e miniature, ci regala un nuovo linguaggio per comprendere da un altro punto di vista la realtà. La sua fotografia si configura quindi come una agitazione interiore, una festa ed un vero e proprio lavoro di fantasia ed immaginazione.
Maria Vittoria, fotografa e artista a tutto tondo, attua una disperata resistenza verso ogni sistema riduttivo e anche se afferma di non prendersi mai troppo sul serio tanto da definirsi una “dilettante nel senso del diletto”, ha agito nel corso degli anni come un “valido sismografo delle complesse trasformazioni in atto della società italiana” (Maria Luisa Frisa); e ci ha trasmesso l’arte di essere leggeri.
Di quella leggerezza di cui spesse volte ha parlato Italo Calvino che non è sinonimo di superficialità ma la virtuosa capacità di “planare sulle cose dall’alto, senza avere troppi macigni sul cuore”.