Loro, bambole perfette e inquietanti, costruiscono il mondo a parte di Maria Soldi che le fotografa e cede loro pensieri e ambientazioni con l’estrema cura del dettaglio
Non è che succede spesso, che vuoi conoscere una vita diversa. In città badi bene a trincerarti dietro alle persone che conosci e per il resto tiri avanti senza guardare. Poi un giorno ho visto una foto. Dall’ombra emergeva un volto fisso, lo sguardo remoto, la pelle chiara e senza imperfezioni. Il sorriso sembrava dire “vieni, qui dentro. Questo è un mondo bello, accogliente, perfetto”. E in quel mondo sono entrata. Era il mondo di una Barbie.
Mssolobarbie è il profilo Instagram di Maria Soldi, che abita a San Donà di Piave. Le foto sono molto belle, del resto le Barbie lo sono, a modo loro. Ma anche le luci, le pose, gli oggetti sono perfetti. I sorrisi si confondono nell’ombra, i particolari sono quasi più importanti dei sorrisi e nei titoli che l’autrice dà a ogni fotografia si intrecciano i nomi tipici del glamour anni ’60, Georgina, Rosmosella o Penelope a frasi come “lo sguardo vitreo dei bicchieri di boemia” che non credo avrebbero soddisfatto Ruth Handler, la creatrice della bambola.
Al telefono risponde una voce che non ha molto a che fare con le foto che ho visto. Ma dopo pochissimo capisco che il telefono non è il mezzo preferito di Maria Soldi. Con difficoltà riesco a farle raccontare quel poco di sé che mi permette di darle giusto un contorno. Ha 54, fa l’impiegata in un’azienda, vive da sola. Siamo ancora distanti da una storia da accompagnare alle immagini che ho visto. Ma poco a poco, come dal fondo delle sue foto emerge una fisionomia fatta di particolari; dalle stentate parole di Maria emerge un mondo piccolo, ma che merita una luce. La passione per la fotografia iniziata a 18 anni, l’ossessione per le immagini, la malattia, l’artrite reumatoide che l’affligge – «le mani adesso iniziano a deformarsi» – e un lutto, il marito Silvio più giovane di lei, morto di un tumore fulminante nove mesi fa a 47 anni. Ne parla con voce ferma, senza cedimenti. C’è una foto, fra tutte le altre a colori, che spicca nel suo bianco e nero discreto. Il titolo è “Una carezza”: una Barbie bionda sfiora i capelli di Silvio intento a fare qualcos’altro.
Maria e la Barbie hanno la stessa età. Le loro vite hanno corso parallele senza mai incontrarsi per quarant’anni. Maria non ci ha mai giocato da piccola, l’ha conosciuta solo da adulta. Si sono incontrate a un compleanno, è stato un regalo.
Lei vede in loro qualcosa che noi non scorgiamo e la sua necessità di svelarcelo è quello che rende i suoi ritratti così intensi. Inquietanti anche. Sono foto che esprimono un vuoto o un pieno? Queste donne non sono senza espressione, al contrario tutto quello che è costruito intorno alla loro fissità è tale che esprime una cura amorevole come raramente se ne vede. Ogni dettaglio, ogni colore, ogni luce esprime un impegno estetico che si trasforma in un profondo sentimento etico nei confronti dell’essere umano, anche se in questo caso è transustanziato nella plastica. Un sentimento tanto più forte in quanto timido, discreto, non dichiarato a parole, perché le parole sono difficili a volte, sono traditrici, non escono fuori bene, la voce non è abbastanza forte. Maria non sa parlare bene quanto le sue fotografie. Tutto quello che vuole dire l’ha messo lì dentro. L’ha depositato nelle mani di Polina, di Irako e di Giorgina. A loro fa dire “ci amiamo”, “ancora una carezza”, “oggi faccio la doccia”, “inverno”, “ti prego, no”, “la donna delle caverne”.
Maria pensa sempre alla fotografia. Anche durante le lunghe passeggiate in solitario, nella sua ora per il pranzo, quando gira per la campagna intorno a San Donà. Vede una pila di materassi buttati in un fosso, una casa disabitata in fondo alla strada e pensa che contro questo mondo sciatto, sporco, questo mondo disattento che l’ha privata del suo compagno e che ha fatto ammalare anche lei, ci si possa opporre con la bellezza. Allora torna a casa a fotografare il mondo vero, quello suo. Per fare sì che questo accada ha un esercito ad aiutarla: Georgina, con il suo cappello di pelliccia guida il plotone, Iroko potrebbe persino trasformarsi in una kamikaze per difenderla. Polina disorienta i nemici con il suo sorriso. Penelope li fulmina con lo sguardo. Rosmosella, la più buona, obbliga la gente a firmare trattati di pace. Sono le sue alleate. Le ha allenate per anni, con sessioni lunghe ed estenuanti, in posa fino a notte fonda, sempre perfette davanti all’obiettivo. Dandogli un nome, una dignità, una vita che esula da quella immaginata dalle bambine, che le immaginano principesse sempre vestite di rosa. Maria invece le ha rese protagoniste di una vita vera, reale anche se protetta dalle reti della sua immaginazione.
Mi ha detto che le foto che carica su Instagram non sono le più belle che ha scattato. Quelle le tiene per sé. Non le fa vedere. Chissà, forse c’è un’altra vita da scoprire.