Harry Potter? Un minipatriarca che esalta la violenza in quanto paladino del “bene”. Sex and the City? Una parabola sulla dominazione che invita le donne ad assumere i medesimi atteggiamenti – patriarcali – degli uomini. bell hooks analizza la società contemporanea in tutte le sue manifestazioni di violenza, mascherata o in chiaro. Dalla politica urlata ai microfoni al chiuso delle camerette dei bambini, dalla filosofia della consacrazione al lavoro ai modelli affettivi dominanti, la questione è una: agli uomini non è consentita l’emotività. E la conseguenza è quella di una società malata di rabbia, di frustrazione, di paura. Con “La volontà di cambiare” Il Saggiatore inaugura la pubblicazione di tutte le opere di bell hooks.
Perché la guerra, periodicamente, visto il male che fa e che tutti conosciamo?
Perché la pornografia?
Perché una società performante consacrata al lavoro per il lavoro, che solo dal lavoro misura il valore individuale e ancora nel lavoro sacrifica quanto di meno negoziabile dovrebbe esserci (energia, tempo, pensiero, vita)?
Chiedeva, Gloria Jean Watkins, che bell hooks, il suo pseudonimo, venisse scritto in minuscolo, perché i segni, a partire dalle parole, occupano e determinano il mondo nel quale viviamo; maiuscolo però è il contributo che, in tanta scrittura, è riuscita a costruire nell’interpretazione della società e dei suoi meccanismi. E quella che è stata, fino ad ora, una conoscenza frammentaria del suo pensiero, promette di diventare qualcosa di ben più cospicuo, grazie alla decisione de Il Saggiatore di pubblicare tutte le sue opere, presenti nel mercato italiano in modo discontinuo da svariati decenni. La volontà di cambiare è quindi il nuovo esordio italiano di bell hooks, per la traduzione di Bruna Tortorella: un saggio uscito originariamente nel 2004, che fotografa e analizza la società americana contemporanea, ma che ben si attaglia a un ragionamento ampio che ha come guida una questione fondamentale: quale è la radice del malessere sociale? bell hooks la circoscrive nei due elementi del sottotitolo, nel modo in cui si confrontano e nella divaricazione di cui sono stati caricati dalla cultura fondata, eretta e fortificata dal patriarcato: mascolinità e amore.
Se, dunque, non è previsto che l’uomo soffra d’amore, ma che ne calchi la via su tracce determinate da dominio, controllo, possesso, che spazio può avere una sensibilità divergente? Che ruolo, che contorni? Solo nella reciprocità della riflessione, spiega hooks, è possibile un passo avanti, poiché il femminismo ha permesso una serie di critiche eccezionali nei confronti del patriarcato, ma non ha parimenti riflettuto su possibili modelli di mascolinità alternativa.
“Il femminismo militante ha autorizzato le donne a scatenare rabbia e odio contro gli uomini, ma non ci ha permesso di parlare di che cosa voleva dire amare gli uomini nella cultura patriarcale, di capire come potevamo esprimere quell’amore senza paura di essere sfruttate e oppresse”
La riflessione sul concetto di mascolinità, ribadisce bell hooks, è un punto che deve interessare anche le donne, poiché gli effetti del malessere si riverberano in modo consistente proprio su di loro, ma è anche attraverso di loro che la struttura patriarcale assimilata continua a riproporsi e a tramandarsi.
Perché, di fatto, cos’è, il patriarcato?
“Il patriarcato è un sistema politico-sociale secondo il quale gli uomini sono per loro natura dominanti, superiori a tutti quelli che ritengono deboli, in particolare alle donne, e hanno diritto di guidarli e governarli e di mantenere quel predominio attraverso varie forme di terrorismo e violenza psicologici”
L’infelicità degli uomini non interessa alla cultura patriarcale. L’unica emozione concessa (e stimolata, e sostenuta) in un uomo è: la rabbia. La rabbia è mascolina, e non per caso.
Quante volte, nel passato di ciascuno e ciascuna di noi, l’angoscia e la minaccia si sono riverberate dalla famosa frase vedrai quando arriva a casa tuo padre? bell hooks ci rimanda direttamente al cuore dell’infanzia, lì dove un pensiero mai confessato si è formato nella nostra parte più indifesa: un pensiero di reazione, indicibile, brutale, di sopravvivenza e danneggiamento. Il pensiero che dice: magari non tornasse mai più.
Desiderare la morte degli uomini per poter vivere è un assunto spaventoso. Eppure è un dato sotterraneo che condiziona, marchia e lega tutta la nostra società.
“Questa è la verità più dolorosa del predominio maschile, che gli uomini esercitano il loro potere patriarcale nella vita quotidiana in modi spaventosamente pericolosi per la vita, che donne e bambini si rannicchiano nella paura e nell’impotenza, pensando che l’unica via d’uscita dalla loro sofferenza, la loro unica speranza sia che gli uomini muoiano, che il padre patriarcale non torni a casa. Donne, bambini e bambine dominati dagli uomini li hanno sempre voluti morti perché credono che non siano disposti a cambiare. Credono che gli uomini che non sono dominatori non li proteggeranno. Pensano che gli uomini siano senza speranza”
Dunque, se le regole patriarcali governano ancora oggi la maggior parte dei sistemi religiosi, scolastici e familiari del mondo (come afferma lo psicoterapeuta John Bradshaw in Creating Love), improntando le relazioni sull’obbedienza cieca; la rimozione di tutte le emozioni tranne la paura; la distruzione della forza di volontà individuale e la repressione del pensiero ogni volta che si discosta da quello della figura di autorità, è evidente che le conseguenze si calano su un doppio binario, maschile e femminile.
Il patriarcato produce uomini che non sanno verbalizzare le proprie emozioni: degli storpi emotivi, come efficacemente li definisce bell hooks, che per essere accettati tra pari devono rispondere a messaggi improntati alla tradizionale prevaricazione e conformarsi nei comportamenti, pena l’esclusione o l’essere a loro volta prevaricati.
Peraltro, quale è il ruolo delle donne? Accade che siano proprio a custodire e tramandare il patriarcato, poiché, quando una ragazza ne ingloba il pensiero, la conseguenza è che, per avere potere, deve percorrere la medesima violenza che permette potere al maschio.
Non si parla mai abbastanza, per esempio, di un tema che nelle scuole sta emergendo in modo drammatico e importante, ovvero della questione delle violenze che le ragazze subiscono dai loro fidanzati che pretendono di “educarle” (eppure, l’impennata del bullismo, i testi della trap, le gang bang sono sotto il nostro naso e vogliono ben significare qualcosa nell’economia generale delle relazioni tra giovani).
Per smantellare questo nucleo sociale di sofferenza non c’è che una via, afferma l’autrice: ed è quella di collaborare al cambiamento attraverso interventi su fronti molteplici, come proteggere la vita emotiva dei bambini, ad esempio; o contrastare la diversità di trattamento, educazione, aspettative che si registrano nelle relazioni dei genitori nei confronti dei figli maschi e delle figlie femmine in infinite macro e micro varianti; oppure, anche, fornire modelli diversi di mascolinità (anche attraverso la letteratura); e inoltre incoraggiare la sfera delle emozioni; combattere l’abuso emotivo.
Garantire, in buona sostanza, alle bambine e ai bambini il diritto di scegliere affettività ed emozioni.
E si torna al punto di partenza: la necessità di superare il modello del guerriero che – mutate armi e divisa – evidentemente non ha realizzato negli ultimi cinquemila anni una società felice, anzi.
“L’insistenza sulla violenza come mezzo di controllo sociale ha di fatto portato al massacro di milioni di persone in tutto il pianeta”.