Bellocchio e il suicidio ‘rimosso’ di un fratello amato e incompreso

In Cinema

In “Marx può attendere” il regista piacentino, fresco di Palma d’0oro alla Carriera a Cannes, ricorda come nel 1968 il gemello Camillo si uccise, nel pieno di una crisi esistenziale di cui né lui, né gli altri fratelli, avevano capito la profondità e le possibili conseguenze. Molti decenni dopo il quadro viene ricostruito con molte testimonianze e vari spezzoni di film dell’autore in cui il tema, più o meno sottotraccia, ricorre, si rende visibile. Un film confessione, un’autoanalisi di fronte al pubblico per un Bellocchio oggi più sereno anche se “non assolto”

Ci sono varie e feconde contraddizioni in Marx può attendere di Marco Bellocchio, piccolo (per definizione del regista) ma grande (per qualità) film che ha debuttato al Festival di Cannes e insieme sugli schermi italiani in questi giorni, in parallelo alla consegna al regista piacentino della Palma d’Oro alla carriera, premio assai raro, sicuramente prestigioso, nonché meritato, da uno dei grandi autori che negli ultimi 50 anni, pur con qualche alto e basso, hanno fatto importante e internazionale il nostro cinema. 

La prima domanda che lo spettatore, credo, si pone è come mai ci sia voluto così tanto tempo perché l’idea, quasi da subito urgente nella mente e nel cuore di Bellocchio, e viva, di spiegare agli altri, e prima di tutto a se stesso, il suicidio del gemello Camillo, si tramutasse prima in indagine interiore, poi in racconto, infine in un film compiuto. Il dramma è accaduto in uno degli ultimi giorni di quel fatidico 1968 nel quale il regista aveva trovato piena convinzione nell’impegno culturale e politico, cercando anche di coinvolgere lo sfortunato fratello nel suo sguardo partecipe verso il mondo, e verso la necessità di cambiarlo, ma ricavandone la risposta che ha poi dato il titolo al film (all’inizio l’idea era L’urlo, simbolo quasi universale di disperazione grazie a Munch e al suo capolavoro). Come a dire, spiega lo stesso autore, che prima di occuparmi del mondo e della politica, devo affrontare i miei problemi d’identità, che sono assai gravi e urgenti.

Il bisogno di mettere a fuoco tutto questo, e soprattutto di chiarire perché né lui né forse nessun altro/a in famiglia, sia arrivato a capire la profondità della crisi di Camillo, il suo disorientamento interiore, l’impossibilità di tollerare uno status di “minorità” nei confronti dei fratelli famosi, affermati intellettuali, cineasti, sindacalisti, incapaci però di capirlo davvero, ha sempre lavorato sottotraccia, dice oggi Bellocchio, e lo dimostra con varie sequenze di suoi film in cui l’idea, la realtà del suicidio si affacciano, da I pugni in tasca a Gli occhi, la bocca. Nel film le vediamo alternate alle interviste ai parenti e a chi è stato loro vicino: un coro di voci che cercano di ricomporre il puzzle di una mente, una vita distrutte. 

L’idea di questo Marx può attendere nasce comunque durante un pranzo di famiglia nel dicembre 2016, con i fratelli Pier Giorgio e Alberto e le sorelle Letizia e Maria Luisa, più mogli, figli, nipoti. “Mi sono reso conto che era l’ultima occasione per far i conti con una rimozione: al momento del suicidio la nostra urgenza fu di fare barriera per proteggere nostra madre. Abbiamo organizzato un pranzo al circolo dell’Unione a Piacenza, che mio padre aveva fondato. Capii subito che non mi interessava fare una cosa nostalgica, tenera con chi restava della mia famiglia, mia sorella, i miei fratelli, ma che il focus sarebbe diventato “il grande assente” ossia Camillo» Il film parte da quel pranzo, poi ognuno ha modo di dire, argomentare la sua verità sui motivi di quel gesto estremo e sulle cause della successiva rimozione, censura, assenza di comprensione.

Cominciando da Marco, ovviamente, dai familiari, dalla sorella della fidanzata di Camillo, dagli amici di casa, da testimoni diretti come, tra gli altri, Padre Virgilio Fantuzzi (“Ha sempre cercato di convertirmi, io l’ho sempre ascoltato con molto amore”), e lo psichiatra Luigi Cancrini. Per prime le sorelle, credenti e che si aggrappano da subito alla speranza di un incidente fatale, di una morte non scelta, confessando il desiderio di ritrovare nell’Aldilà più Camillo, la mamma, il padre, che i Santi da loro venerati. Senza dubbio Marx può attendere è un eccellente esempio, nonostante la materia così calda nell’ispirazione dell’autore, di documentario razionale, capace di mostrare a spettatori necessariamente in partenza estranei, sentimenti e sfumature private, con partecipazione ma anche oggettività, spinta al ragionamento. Mantenendo l’equilibrio fra la partecipazione emotiva e la capacità registica, l’uso dei testimoni e le riflessioni proprie, il ricordo, a volte doloroso, del passato, inevitabilmente terra del senso di colpa, e l’approdo in un presente in cui Bellocchio si è definito sereno anche se non assolto. Da se stesso, in primo luogo. 

Così la seconda domanda, il dubbio che sorge nel vedere il film è se mettere in scena una vicenda così privata, in cui trovano posto la morte del gemello e la difficoltà di capirla allora e oggi nelle sue motivazioni, e la necessità di recuperare, per Bellocchio, la sua figura di fratello ai suoi stessi occhi, non contenga qualcosa di inevitabilmente esibizionistico, quasi narcisistico. La convinzione, palesemente sincera, di voler riabilitare, in qualche modo in pubblico, la propria posizione, allora sprecata, non è qualcosa di impositivo su tutti gli altri membri della famiglia, prima di tutto? Viviamo nell’era di Internet in cui ogni social rigurgita di parole e immagini in cui chiunque sviscera (a volte alla lettera, in senso medico) sé stesso/a esibendo patologie, crisi, afflizioni fisiche ed esistenziali senza la minima remora. Non c’è dubbio che Marx può attendere stia innumerevoli gradini sopra ogni tipo di simile esempio, per il pudore con cui descrive e racconta tutti, in primo luogo il fratello e poi gli altri, i vivi e i morti, i sentimenti propri e quelli degli altri membri di una famiglia che Bellocchio con molta onestà non nasconde essere stata per lui, e soprattutto per i più deboli tra i suoi, difficile, quasi tossica a tratti. Siamo di fronte a un’autoanalisi in presenza del pubblico, e non stupisce conoscendo i legami tra l’autore e il mondo della psicologia, o da un altra prospettiva, lo spiega con chiarezza padre Fantuzzi, di cinema come confessionale, schermo come grata di chiesa che lascia passare innanzitutto l’ammissione di un senso di colpa: e nonostante il suo ateismo dichiarato, il regista viene assolto dal sacerdote, perché dai suoi film ha capito molte, importanti cose, della sua anima.

Accanto alla vicenda privata della famiglia Bellocchio, Marx può attendere apre a riflessioni sul senso del fare cinema, sulla storia italiana anche, sul negativo progredire del tempo, sui suoi effetti sulla memoria. “Oggi, finalmente mi sono sentito libero, quasi alleggerito, anche capace di fare dello spirito. Sono emerse cose meravigliose, inedite, tipo mia sorella Letizia sordomuta che non aveva mai parlato: ha dimostrato uno spirito tipicamente bellocchiano pure mantenendo salda la propria fede in Dio”. Lui si è offerto, con forte valenza simbolica, proprio ai figli quali “giudici /testimoni” della sua confessione. Commuove vederlo parlare del proprio vissuto con Elena e Piergiorgio che lo ascoltano, ne assorbono la pena, un vero viaggio nel presente che guarda però al passato, anche remoto. “Facendo il film ho compreso che questa tragedia ha percorso l’intera mia vita. E in questo film entra il mio voler fare cinema in un certo modo, anche il mio carattere, dopo tanti anni di rabbia e iconoclastia”.

Ne è esempio efficace il riemergere della lettera che Camillo gli aveva scritto implorandolo di farlo entrare nel mondo del cinema per lavorare con lui: “Quello è un momento drammaturgicamente fondamentale. Dalla conversazione con mio fratello Alberto esce questa lettera, che io allora trascurai, dimostrando di non vedere né sentire l’altro”. In quel film-manifesto che fu 56 anni fa I pugni in tasca, la famiglia per Marco Bellocchio era il luogo fisico e metaforico della rabbia, della rivolta. “Allora i miei capirono in ritardo che parlavo di loro e di me”. Oggi è il luogo in cui rintracciare emozioni sepolte, condividere e capire, anche con leggerezza e serenità e col supporto delle musiche del perduto Ezio Basso – che sono una vera “traccia emotiva” – le assenze colpevoli che alla fine del rivoluzionario 1968 contribuirono a far maturare il suicidio di Camillo, gemello di Marco.

Marx può attendere documentario di e con Marco Bellocchio e Pier Giorgio, Alberto, Maria Luisa e Letizia Bellocchio 

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