Con “Benedizione” di Kent Haruf, della neonata NNEditore, ci si perde negli sconfinati spazi della pianura americana
Nella nota del traduttore a chiusura di Benedizione di Kent Haruf, primo romanzo della Trilogia della pianura in corso di pubblicazione da parte della neonata NNEditore, Fabio Cremonesi scrive: «Ci sono libri che fanno entrare nel nostro campo visivo cose che prima non c’erano e altri libri, più rari, meno appariscenti, che ci fanno vedere cose che avevamo già sotto gli occhi senza saperlo. Benedizione è uno di questi ultimi». E, in effetti, non esiste definizione migliore.
Benedizione ha la potenza dei grandi romanzi che cominciano in sordina, pacati, e finiscono per entrare dentro, coinvolgendo il lettore in una storia che, nonostante l’essenzialità dei fatti narrati, rimane addosso con tutte le atmosfere che le fanno da sfondo.
Resoconto delle ultime settimane di vita di un uomo di provincia, prototipo del self made man che dalla miseria ha saputo costruire un’attività e una vita dignitose, il libro descrive uno spaccato d’America in cui le bassezze delle ipocrisie collettive, i traumi familiari irrisolti, gli amori falliti e quelli tenacemente riusciti si intrecciano nelle vicende di una galleria di personaggi che si impone attraverso la forza dei dialoghi.
Raramente infatti la prosa di Haruf si abbandona a descrizioni che non siano quelle della desolante cittadina di Holt: tutto ciò che ci è dato conoscere dei suoi eroi della quotidianità lo apprendiamo dalle loro parole o dai pensieri che accompagnano le continue incursioni temporali nel passato. Con grande naturalezza veniamo a sapere dei motivi che hanno spinto Frank, assente se non nelle evocazioni dei suoi cari, ad abbandonare casa per non fare mai più ritorno, così come del grave lutto che ha devastato la vita della sorella Lorraine; cautamente scopriamo le ragioni che si nascondono dietro ai continui trasferimenti del nuovo parroco di città, e al ritorno al nido dopo una carriera bruscamente interrotta di Alene.
Scomparendo tra le righe di una scena di vita familiare e quelle di un aneddoto, Haruf restituisce un capolavoro di realismo che, se inizialmente frena come uno schiaffo per la sua asciuttezza, per gli stessi motivi finisce per incollare alla pagina nel tentativo di completare quel quadro di cui ogni breve capitolo fornisce un tassello essenziale.
Esiste un filo sottile che attraversa tutta la narrazione: il tema generazionale, inteso come l’eredità umana e sociale che parte dalla dimensione della famiglia per allargarsi a quella della comunità. Non è un caso che uno dei personaggi principali, contraltare a Dad tanto anagraficamente quanto a livello simbolico – vive nella casa di fronte – sia una ragazzina, Alice, orfana cresciuta dalla nonna. Intorno a questa figura ancora incontaminata dalla vita si articolano le attenzioni di tre donne segnate in un modo o nell’altro dal fallimento. Tanto più Dad si avvicina alla morte e lotta con i fantasmi del suo passato, quanto più Lorraine, Alene e Willa investono denaro, tempo ed energie nelle promesse di questa giovinezza non ancora sbocciata, quasi come se assicurandole un futuro dignitoso possano in qualche modo riscattare quello che la vita ha negato loro. La scena chiave del bagno nella cisterna, in cui le quattro generazioni si immergono senza vergogna in un umile rito che esorcizza tragedie del passato e timori per il futuro, è uno dei momenti più belli della narrazione.
Benedizione è un romanzo che mette in scena in maniera magistrale lo scorrere della vita, nonostante tutto, e l’approssimarsi inesorabile della morte. Non c’è spazio per i vittimismi, si rifugge dal patetico; l’unico sentimento che rivendica il proprio posto nel mondo è la pietà, il più umano di tutti. E nel farne il fulcro del suo universo narrativo Kent Haruf dimostra di non avere nulla da invidiare ai grandi maestri suoi contemporanei.
“Benedizione” di Kent Haruf (NNEditore, 2015, 280 pp, 17 euro)
Immagine: Through the plains di Michael Zanussi
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