Benjamin e il discorso impossibile un film scoppiettante e un po’ cinico

In Cinema

Il nuovo film di Laurent Tirard (apprezzato per “Piccolo Nicolas”) poggia soprattutto sull’ottima interpretazione di Benjamin Lavernhe: è lui il protagonista Adrien, trentacinquenne sull’orlo del suicidio perché la fidanzata gli ha chiesto “una pausa” e se n’è andata. Incaricato di tenere un festoso discorso al matrimonio dell’amata sorella, entra in crisi perché gli vengono in mente solo tristi ricordi d’infanzia e traumi familiari. Con la forte tentazione di irridere i riti della piccola borghesia

Adrien (Benjamin Lavernhe) ha trentacinque anni ed è sull’orlo del suicidio. Ipocondriaco e depresso, ha appena scoperto che la sua fidanzata Sonia (Sara Giraudeau) ha deciso di prendersi una pausa e in quattro e quattr’otto se n’è andata di casa. Non si sa per quanto tempo, non si sa perché, ma è facile indovinare che la loro relazione non doveva sembrarle particolarmente eccitante. Intrappolato in un’infinita, noiosissima cena di famiglia, Adrien ripensa alla sua vita e cerca affannosamente di reagire allo sconforto, ma si ritrova ben presto incastrato in un impegno a dir poco imbarazzante: tenere il discorso principale durante la grande festa in occasione del matrimonio di sua sorella. Una promessa che il simpatico cognato è riuscito a strappargli in un momento di obnubilamento, ma che rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo: come si può parlare dell’altrui felicità amorosa proprio nel momento in cui ci si ritrova con il cuore a pezzi?

Sopraffatto dall’angoscia, Adrien comincia a immaginare il suo discorso, spinto dal desiderio di far felice la sorella e non deludere il resto della famiglia, ma anche, perché no, riconquistare l’adorata Sonia (che ha il volto bello e sfuggente della Marina di Le Bureau – Sotto copertura). Ogni tentativo di trovare la chiave per il discorso perfetto fallisce però miseramente, fra un triste ricordo d’infanzia e un insuperabile trauma familiare, un attacco d’ansia e uno sberleffo agli stanchi, immarcescibili riti della piccola borghesia.

L’intero film non è altro che un lungo monologo dall’impianto teatrale, costruito con stile scoppiettante e trascinante ironia, saltando avanti e indietro nel tempo e sfondando ripetutamente la cosiddetta quarta parete, il muro immaginario che divide gli attori dagli spettatori. Il risultato è a tratti esilarante, a tratti soltanto frizzante, dall’inizio alla fine sufficientemente acuto da catturare e convincere. Il soggetto viene da un romanzo del fumettista francese Fabrice Caro (Il discorso, pubblicato in Italia da Nottetempo), adattato per lo schermo da Laurent Tirard, già regista del delizioso Piccolo Nicolas, ma anche di uno degli episodi della saga di Asterix e Obelix (Al servizio di sua maestà). 

Un’idea che funziona soprattutto grazie alla travolgente verve di Benjamin Lavernhe, al suo primo ruolo da protagonista. La faccia buffa, gli occhi sgranati, la parlantina incontenibile di questo attore proveniente dalla Comédie-Française riescono infatti a sostenere dalla prima all’ultima scena una commedia romantica dal cuore più cinico che rosa, costellata di battute folgoranti e divagazioni divertenti, in spasmodica attesa di un lieto fine sempre rimandato ma (forse) inevitabile. 

Il discorso perfetto di Laurent Tirard, con Benjamin Lavernhe, Sara Giraudeau, Kyan Khojandi, Julia Piaton, François Morel

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