Al Padiglione Svizzera della 60. Biennale di Venezia, l’artista svizzero brasiliano Guerreiro do Divino Amor presenta Super Superior Civilizations, il sesto e il settimo capitolo della sua monumentale saga “Superfictional World Atlas”, i cui nuovi episodi sono intitolati Il Miracolo di Helvetia e Roma Talismano. Un florilegio spettacolare di personaggi buffoneschi, esilaranti e irreali, provocatori e mitologici che ci deliziano in uno dei padiglioni più belli, senza retorica, di questa discussa e discutibile edizione.
“Alla Biennale di Voghera / la Casalinga – madrina d’onore / e orrore e trasgressione / per l’attribuzione / delle Megere d’Oro / e della Gran Mezza Calza d’Argento / “alle più deteriori / Provocazioni Irriverenti / fuori dal coro” / e più aggiornata, nel conformismo ‘up to date’, / dei più provocatori / Laboratori del Futuro – / ora guida e dirige i Pensatori, / le Signore, i Giovani, i Lavoratori, / i Disoccupati, gli Immigrati, / eccellenti, organizzati / e disorganizzati, ordinari e annunciati, / in un percorso attrezzato di detriti e ciabatte e rifiuti.”
Così si apre il “Vernissage Rap” di Alberto Arbasino, lunga poesia – contenuta in “RAP!” – in cui la Biennale di Venezia viene sostituita da quella, provinciale, di Voghera (l’iniziale, d’altronde, è la stessa). Considerando, poi, che il motto della 60° edizione dell’evento internazionale d’arte in laguna è “Stranieri ovunque”, cosa cambierà mai tra il trovarsi nel capoluogo di regione del Veneto o nella cittadina ormai in stato depressivo ai piedi delle colline dell’Oltrepò pavese? Nulla, e, infatti, un “percorso attrezzato di detriti e ciabatte e rifiuti” è facile da individuare pure tra i Giardini e l’Arsenale, dove, però, grazie al cielo, tra questi detriti e queste ciabatte e questi rifiuti, spiccano le gloriose colonne di (finto) marmo all’interno del padiglione della Svizzera. Curato da Andrea Bellini, il padiglione svizzero ospita il lavoro di Guerreiro do Divino Amor in una riuscitissima mostra dal titolo “Super Superior Civilizations”. L’artista dalla doppia nazionalità svizzero-brasiliana tramite una mistificazione totale (non solo del marmo) mette in mostra quel che c’è di paradossale e artefatto – e allo stesso tempo di incancellabile e necessario – in sé stesso e in noi tutti, abilmente costretti a sentirci stranieri con e dentro noi stessi, facendoci due amare e auto-riflessive risate mentre giriamo nel padiglione.
Dopo aver attraversato un kitschissimo, buio colonnato presidiato dal mezzobusto vaporwave di Helvetia, la protagonista di tutta l’opera di Guerreiro, entriamo in un ambiente circolare cupolato con sedute reclinate in listelli di legno: siamo nel tempio di Minerva Medica o nella sauna di un Quattro Stelle a Saint Moritz? Come per l’ormai trascurabile differenza esistente tra Venezia e Voghera, poco importa. Sul soffitto di questo spazio tondo e raccolto è proiettato “Il Miracolo di Helvetia”, saga mitica, cosmogonia contemporanea della Svizzera in cui le divinità del pantheon elvetico si alternano per presentarci le qualità del Paese e dei suoi abitanti. Tra loro si distinguono per coerenza Scopula – che, personificando l’aspirazione alla perfezione, sa essere insieme semplice e sofisticata, rustica e tecnologica, rassicurante e onnipotente – e Gudruna – valorosa guerriera della Nazione che del proprio neutralismo bellico ha fatto una bandiera – accompagnate, tra le altre, da Venuma – dea cocainomane, da lei dipende la crescita finanziaria dell’Olimpo svizzero.
Uscendo dal tempio-sauna, al di là del kitschissimo colonnato, si intravede una stanza i cui bagliori di luci colorate e lirici suoni ci attraggono: lì veniamo accolti da Ventura Profana, lupa capitolino-amazzonica che ci delizia cantando “Roma Talismano”, titolo eponimo dell’intera installazione. La canzone risulta particolarmente apprezzabile da noi italiani di (centro)sinistra che andiamo alla Biennale per accertarci della nostra superiorità moral-culturale; infatti, alcuni versi del brano fanno così: “Io sono una lupa, / Sono una donna, / Sono una madre, / Sono italiana, / Sono cristiana!”: scacco matto, Giorgia. L’intero brano sbeffeggia l’imperialistica mitologia occidentale dai tempi dei Romani a oggi, passando per Benito e Britannia, legando Roma e la Svizzera in quanto emblemi di certe narrazioni e auto-narrazioni: “Io sono la Svizzera / che è ricca e dove si sta bene” dice Marracash in “Body Parts”, per farla breve.
Guerreiro do Divino Amor – forte della sua doppia cittadinanza, nato a Ginevra e formatosi tra l’Europa e il Brasile, dove ora vive – ha saputo mettere in scena un’opera dal forte impatto visivo (si può dire “bella”, una bella opera? Alberto Arbasino, di nuovo lui, e Susan Sontag si erano apertamente schierati per la riabilitazione di questa categoria nel giudizio artistico: basta con “interessante” e “stimolante” e “rivelatoria”); dicevo: un’opera dal forte impatto visivo in cui scherzo e sincerità si tengono costantemente per mano. Data la linea di questa edizione della Biennale, la dialettica tra straniero-brasiliano e padrone di casa-svizzero che lui stesso impersona gli ha permesso di avere uno sguardo completo e accattivante sul tema senza farlo scadere nella solita narrativa del Noi Contro Voi (si sceglie per chi tifare di volta in volta), senza tramutarlo in un pietistico circo da offrire allo sguardo basso (per il Sole che infastidisce, sia chiaro, mica per il senso di colpa) dei tipicamente bianchissimi, sempre ricchissimi visitatori della Biennale. In questo senso, la performance con cui ha inaugurato il padiglione statunitense è stata il non plus ultra: un gruppo di nativi che cantava, ballava e suonava su di un alto podio per meglio farli vedere al pubblico di occidentali che li filmava, mentre dei gabbiani – richiamati da quei riti potentissimi di per sé, ma ridicolizzati dal contesto – si radunavano sulle loro teste: la versione sfigata, ossia italiana, dei condor.
Come già ha scritto Francesco Bonami, questa edizione della Biennale espone “all’antropofagia e al cannibalismo del mondo dell’arte occidentale” gli esclusi da quello stesso mondo: buttare tutto insieme, a mo’ di discarica, svilisce soltanto e ulteriormente quelle opere e quegli artisti che si sarebbero voluti, e dovuti, valorizzare. Nell’imperitura dicotomia tra Centro e Periferia, tra Occidente e Il Resto Del Mondo, tra Art System e I Suoi Esclusi, Guerreiro do Divino Amor – sanando in sé il conflitto, mettendo alla berlina i primi ricorrendo a personaggi buffoneschi, esilaranti, irreali impersonati dai secondi – regala al pubblico della 60. Biennale d’Arte una delle rare, ma presenti, oasi felici.
Tutte le immagini: Installation view di Super Superior Civilizations di Guerreiro do Divino Amor al Padiglione Svizzera della 60. Mostra Internazionale d’Arte la Biennale di Venezia 2024. Foto di Samuele Cherubini.