Avete visto ‘Timbuctù’? Di berberi si occupa un festival nei prossimi giorni: cultura, musica ma anche la difficile vita di questo popolo senza stato dopo le primavere arabe
Zidane, Sant’Agostino, Isabelle Adjani. E lo sfortunato protagonista di Timbuctu, il bel film di Abderrahmane Sissako che racconta il Mali ai tempi (recenti ma brevi, fortunatamente) del folle dominio jihadista. Personaggi, veri o no, accomunati dall’appartenere allo stesso popolo: gli abitanti autoctoni del Nord Africa, di pelle bianca, che i romani definivano sommariamente “barbari” e da quel termine furono poi noti come berberi. Noti relativamente, a dire il vero: ancora presenti in decine di milioni dal Marocco all’Egitto, e in parte del Sahel dove sono chiamati tuareg, in realtà sono sconosciuti al mondo, quasi invisibili.
«Gli Imazighen, o ‘uomini liberi’ nella loro lingua, sono un grande e antichissimo popolo che mai è riuscito ad avere un suo Stato, nei secoli oggetto di invasioni e discriminazioni, valoroso ma costretto a cedere nel tempo le terre più fertili per ritirarsi sui monti e nei deserti. E oggi nel mirino degli integralisti islamici perché non parlano l’arabo e sono considerati infedeli», spiega Vermondo Brugnatelli, docente di linguistica all’Università Bicocca, appassionato studioso dei berberi e della loro cultura che ogni anno, tra mille difficoltà, cerca di far conoscere alla città di Milano con un festival organizzato dall’Associazione culturale berbera che dirige.
Gli appuntamenti dell’edizione 2015, che ha il patrocinio del Comune e della Bicocca, iniziano il 29 maggio alla Casa della Cultura (ore 21), quando Ahmed Adghirni, attivista politico marocchino (nonché traduttore nella sua lingua dello shakespeariano Romeo e Giulietta) e il militante umanitario algerino Kamal Eddine Fekhar dibatteranno della situazione della loro minoranza dopo le primavere arabe: «davvero critica e in via di peggioramento, soprattutto in Libia e in Algeria», anticipa Brugnatelli.
Il giorno dopo all’auditorium di via Peroni 56 (ore 18), un concerto con canti e danze tradizionali grazie alla presenza dei due gruppi marocchini Imdiazen Band e Ahidous, dell’ensemble algerino Rabah Djennadi & Compagnia Malika Ferhat nonché della cantante libica Nadine Shinnib. Domenica 31 maggio (16.30) infine, al nuovo museo delle Culture, Mudec, una conferenza di Brugnatelli sulla «grande cultura berbera di resistenza, da Agostino a Idir» – quest’ultimo cantante kabili algerino celebre anche in Europa (anche se poco da noi) – e il documentario La montagna di cristallo di Mario Zecchini sui berberi di Douiret, uno dei villaggi medievali scavati nelle rocce della Tunisia, abbandonato dopo l’indipendenza dagli abitanti perché costretti a spostarsi in un centro moderno dallo stesso nome, lasciando il paese d’origine ai turisti.
«Anche noi pochi appassionati del popolo berbero in Italia cerchiamo di resistere, facendolo conoscere. Ma ancora più che per i curdi, un altro grande popolo senza Stato, è un’impresa difficile rompere il silenzio o la disinformazione: negli atlanti geografici, ad esempio, si parla di arabo-berberi, come se non fossero invece etnie ben distinte da ogni punto di vista e spesso anzi rivali», dice Brugnatelli.
«La loro poesia, la musica, la cultura, sono affascinanti. Ma in Italia restano un segreto per pochi. Basti pensare che l’insegnamento della lingua e della scrittura degli Imazighen sopravvive ormai solo all’Orientale di Napoli, a Milano è stato soppresso da qualche anno». Eppure, aggiunge, i berberi non solo hanno contribuito alla Storia del mondo con decine di personalità importanti (a parte i nomi già citati, con faraoni egizi, imperatori e scrittori romani, papi e altri santi cristiani), ma ebbero perfino un ruolo, nel 1895, nella liberazione di Milano dagli austriaci: i primi reparti che entrarono in città furono infatti gli “zuavi”, un corpo scelto di berberi della tribù algerina degli zwazwa.
Foto: Cabilia 2008, Suonatori tradizionali davanti a un poster pubblicitario di Zidane, Vermondo Brugnatelli