Bergamo Film Meeting, quando il cinema attraversa la città

In Cinema

Anche questa edizione 43 della rassegna, appena conclusa, ha invaso luoghi poco noti, portando i film in bici, gesto pulito, poetico e politico, spargendo suggestioni di culture diverse, personaggi nuovi. Da “Gina”, piccola protagonista del film vincitore, dell’austriaca Ulrike Kofler, diventata adulta fin troppo in fretta, a “Carola”, che nel cileno Oro Amargo di Juan Olea racconta fatiche e incertezze del mondo minerario. E molte altre storie in bilico tra culture, appartenenze diverse, salti di tempi e generazioni

Le luci del Bergamo Film Meeting 2025 si sono spente da qualche giorno, lasciando nell’aria il riverbero delle storie che hanno attraversato gli schermi, lasciando spazio al Jazz Festival, e aprendo nuovi sguardi nell’immaginario collettivo. Per molti giorni la città si è trasformata in una tela su cui si sono intrecciate emozioni, cultura e visioni del mondo, che hanno aperto questa provincia al mondo. L’eco di questa 43ª edizione risuona ancora tra le vie, nelle sale indipendenti che hanno ospitato cinefili, registi e spettatori in cerca di un cinema diverso, che sfida e rinnova.

Non è stato solo un festival, ma un viaggio. Un viaggio tra le vite spezzate e resilienti di Gina dell’austriaca Ulrike Kofler, che ha conquistato il Primo Premio con il suo ritratto essenziale e crudele di una bambina che si fa adulta troppo in fretta. Il suo volto, scavato da inquadrature strette e fredde resta impresso, come un quadro che non si dimentica. Accanto a lei, Oro Amargo del cileno Juan Olea ha portato sul grande schermo la fatica, la polvere e il destino incerto di Carola, erede forzata di un mondo minerario che si sgretola. Un film che ha il sapore metallico della terra e il suono greve del sacrificio, premiato con il Secondo Premio per la sua cruda autenticità.

Fainéant.e.s del franco-tunisino Karim Dridi, premiato col Terzo Premio, ci ha spinti in un viaggio tra incontri e disillusioni, con una regia che sa giocare coi contrasti tra realtà e immaginazione. Un cinema che non culla, ma scuote. E poi, la delicatezza di Hiver à Sokcho del franco-nipponico Koya Kamura, premiato per la Miglior Regia, che con le sue inquadrature statiche e la sospensione del tempo ha raccontato l’incontro tra culture, la solitudine e il senso di appartenenza. Infine, nella sezione “Visti da Vicino”, Mutterland della svizzera Miriam Pucitta ha scavato nella memoria, riportando alla luce il filo sottile che lega madri e figlie attraverso le epoche e le migrazioni. Un documentario che pulsa come un battito familiare.

https://drive.google.com/file/d/162Yh7C3s3Zdp14Pmo0Fr34674m69kvuq/view

Ma il festival non si è fermato alla pellicola. Quest’anno Bergamo si è mossa, letteralmente. I ragazzi del collettivo Bikefellass hanno reso il cinema un’esperienza ancora più immersiva, portandolo fuori dalle sale con i loro cine-ride: pedalate urbane che conducevano a proiezioni sotto le stelle, in angoli della città che pochi conoscono. Un gesto politico e poetico insieme, la cultura che viaggia su due ruote, senza rumore, senza fretta, senza inquinare. E resta la sensazione che il Bergamo Film Meeting non sia solo una rassegna di cinema ma un momento in cui la città si lascia attraversare dai film, si lascia trasformare. Chi ha vissuto queste giornate sa che qualcosa, anche stavolta, ha lasciato tracce ed illuminato nuovi punti di vista (Marta Marchini)

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