Molte chiavi e livelli di lettura, non sempre di facile comprensione, dal cinema alto al mondo nordico, ai dilemmi esistenziali, per l’opera che Mia Hansen-Love ha dedicato al grande regista svedese e al suo rifugio. Un film bello e pacato, fatto di leggeri fruscii, piogge improvvise e improvvisi squarci di sole. Con un cast efficace, da Tim Roth a Mia Wasikovska, da Vicky Krieps a Anders Danielsen Lie
Tempo fa seguivo una bellissima lezione su James Joyce dello scrittore Paolo Di Paolo, che parlando dell’Ulisse a un certo punto dice: “Per apprezzare l’Ulisse è necessario stringere un patto con il suo autore. E il patto è quello di essere disposti a non capire tutto di quest’opera”. Ora, lungi da me paragonare Sull’isola di Bergman della regista francese Mia Hansen-Løve all’Ulisse di Joyce, ma di certo ho dovuto ripetermi la stessa frase al termine della visione. Perché il film ha tanti livelli, ma non sempre sono chiari o perfettamente integrati. Si assommano l’uno a l’altro, come quando si stende una pittura su vetro e le prime mani scivolano via, non prendono, per questo ne aggiungi altre e alla fine il risultato ti piace anche se non sai bene da dove sei partito e dove vuoi arrivare. L’effetto finale è bello e in qualche modo ti rimane dentro, ma continui a ripensarci e a chiederti come sei arrivato a quel risultato, perché razionalmente proprio non lo capisci.
La storia iniziale è presto detta. Una coppia di registi, Tony e Chris Sanders, arrivano sull’isola di Fårö, nel Mar Baltico a sud della Svezia, l’isola dove il regista Ingmar Bergman aveva una casa e dove è morto. Negli anni, Fårö era diventata il suo rifugio, il luogo dove ha girato molti dei suoi film, come Persona o Scene da un matrimonio. Proprio per questo ogni giugno si tiene una “Settimana di Bergman”, alla quale viene appunto invitato Tony, grande fan del regista. La sua compagna Chris è molto meno attratta dall’autore del Settimo Sigillo, non riesce a separare il regista dall’uomo e il fatto che Bergman fosse così freddo se non addirittura spietato con le sue mogli, non riesce a farle apprezzare la sua opera.
I due vengono ospitati in una villa dove è stato girato proprio Scene da un Matrimonio, che la governante che li accoglie definisce orgogliosamente “il film che ha fatto divorziare centinaia di coppie”, e con questo giulivo viatico Chris e Tony prendono possesso della casa dove intendono trascorrere due settimane scrivendo le loro sceneggiature, passeggiando e visitando i luoghi simbolo dell’isola. La loro è una coppia affiatata, i due hanno anche una figlia che per quei giorni è affidata alla nonna, ma si avverte come una distanza, che non sai se dovuta a quei modi così serenamente nordici oppure a un allontanamento progressivo dovuto alla vita che negli anni a volte separa, dai gusti ai modi di pensare, al modo di guardare le cose o le persone. Certo è che spesso nei giorni trascorsi sull’isola, Chris e Tony prendono direzioni diverse, come quando lui prende il torpedone per fare un Bergman Safari, mentre lei preferisce farsi guidare alla scoperta dell’isola da uno studente di cinema appena incontrato.
Un giorno Chris, in crisi creativa, inizia a raccontare a Tony il soggetto che sta scrivendo per il suo prossimo film, sperando in un aiuto che non riceve: e qui si aggiunge un nuovo strato di colore, si apre una specie di film dentro il film. Perché mentre Chris racconta, il suo racconto si compie davvero. I due nuovi protagonisti sono una giovane americana di nome Amy (Mia Wasikowska) che arriva sull’isola di Fårö per il matrimonio della sua amica Nicolette e Joseph, il suo amore di gioventù. La passione, pur se rimandata il più possibile, si riaccende fra Amy e Joseph e l’ultima sera vanno a letto insieme. Ma il giorno dopo Joseph torna alla sua vita e alla sua compagna e anche Amy, sebbene devastata, torna a casa dalla figlia e dal suo partner.
Inaspettatamente, al termine di questo racconto nel racconto s’inserisce un altro racconto che vede gli attori che interpretano Amy e Joseph (lui è l’attore norvegese Anders Danielsen Lie, che chi ha visto La persona peggiore del mondo già conosce) riunirsi con Chris come se fossero al termine della produzione del film, con Joseph che la saluta molto affettuosamente. Ecco, confesso di non aver capito bene tutti questi intrecci. Vuol dire che Chris ha scritto un soggetto che ricorda una sua storia personale, un vecchio amore cui ha rinunciato per tornare da Tony e da sua figlia? O è un soggetto di totale fantasia a cui pensa, ispirata dall’isola di Bergman, una specie di omaggio a un regista che detesta? O ancora è la sublimazione della sua storia con Tony? O semplicemente una storia come un’altra? O infine il racconto in qualche modo del rapporto che la stessa autrice del film, Mia Hansen-Løve, ha avuto col suo ex compagno, il regista Olivier Assayas (quello di Personal Shopper)? Non ne ho la minima idea.
In altre occasioni questo slittamento costante, questa mancanza di comprensione, peggio questa impossibilità di aggrapparsi a qualcosa che resti lì e contribuisca a creare una per quanto piccola base di senso sulla quale iniziare a inerpicarsi, mi darebbe fastidio. Ma in questo caso, come suggeriva Paolo Di Paolo, ho voluto fare un patto e tenere i miei dubbi e le mie titubanze. Cosa ho ricevuto in cambio? Un film pacato, fatto di leggeri fruscii, di luci nordiche, di piogge improvvise e di altrettanti improvvisi squarci di sole. Dove forse, per chi è più intelligente di me e soprattutto più pronto, c’è un sottile interrogativo riguardo a temi come la creatività, lo sguardo del regista, la natura dei rapporti di coppia e forse, più di tutto, la sensibilità di chi è artista e vede la vita attraverso una lente particolare.
Di certo è un film con attori bravissimi, innanzitutto Vicky Krieps, che avevamo amato al suo debutto internazionale in Il filo nascosto al fianco di Daniel Day Lewis, con una bellezza che rassomiglia a quella dell’isola, fredda e calda, fissa e mutevole al tempo stesso. Anche Mia Wasikowska è perfetta, sembra non capire cosa succeda, ma al tempo stesso sa già tutto (al contrario mio) e tutto affronta. Tim Roth fa Tim Roth, il che a me personalmente diverte sempre e Anders Danielsen Lie, essendo l’unico attore che veramente appartiene a quelle lande gelate, ha un riserbo ed un sorriso distante che non stonano nell’ambiente.
Quindi andate a vedere L’isola di Bergman, passato all’ultimo Festival di Cannes: non ci troverete niente di Bergman, ma forse va bene così.
Sull’isola di Bergman, di Mia Hansen-Love con Mia Wasikowska, Tim Roth, Vicky Krieps, Anders Danielsen Lie, Anki Larsson, Melinda Kinnaman, Joel Spira, Stig Biorkman