Le “Poesie politiche” del drammaturgo tedesco tornano in libreria grazie a Einaudi: sono teatrali, militanti e decisamente attuali
Scelta felice quella della casa editrice Einaudi che ha deciso di aprire il 2015 riproponendo al pubblico italiano una scelta delle poesie di Bertolt Brecht, una scelta di poesie politiche.
Questo è infatti il titolo del volume (curato da Enrico Gianni, con introduzione di Alberto Asor Rosa) che organizza i testi attorno a cinque sezioni tematiche coerenti e compatte, racchiuse fra un prologo e un epilogo. Il curatore vuole, insomma, accompagnarci in un viaggio, vuole mostrarci queste poesie come se fossero una delle tante opere teatrali di Brecht – e della natura teatrale e musicale di questa poesia parla Asor Rosa nell’introduzione: teatrali perché presuppongono sempre l’esistenza di un pubblico; l’intento però non è quello banalmente pedagogico, qui non ci sono buoni sentimenti.
C’è invece la presa d’atto che il poeta può arrogarsi il diritto di dire la sua al suo interlocutore solo perché ne condivide fino in fondo – o ne respinge con nettezza invalicabile – situazioni, rischi, obiettivi.
I testi scelti dal curatore sono grosso modo composti negli anni ’30. Solamente quattro sono datati nel secondo dopoguerra; una decina risalgono agli anni ’20. Il libro si apre con una poesia sulla inadeguatezza degli umani sforzi cui segue la prima sezione: Destini proletari.
Una galleria di miserabili, distrutti dalla miseria e della fame: prostitute, madri che uccidono i propri figli, madri, al contrario, che nella sofferenza e nell’ingiustizia, cercano una speranza per il nascituro; e ancora madri che vogliono abortire perché non sanno di cosa nutrire la propria prole, vedove, lavoratori, disoccupati, affamati, minatori.
Il proletariato, insomma: quelli “che stanno in basso”, martoriati dai soprusi e dalle false speranze che propinano quei pochi “che stanno in alto” per assicurarsi di restarci. La forza di questi ritratti, di questi destini, sta nello stile freddo, mai patetico, straniante che stenta a cedere al sentimentalismo. Uno stile semplice, severo, mai ridondante.
La rassegna si conclude con un invito che Brecht faceva ai proletari suoi contemporanei, ma che vale anche per noi, oggi più che mai: quello a imparare, a informarsi.
La seconda sezione, Lotta di classe, si apre con un testo che sembra rispondere a quell’elogio dell’imparare: la lode del dubbio, perché è su di esso che si fonda la vera conoscenza: «sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai». Questa sezione, come da titolo, è quella che ci fa incontrare Lenin, i bolscevichi, la Rivoluzione russa e gli operai, il partito e il comunismo (“la soluzione”, la cosa “ragionevole”, la “cosa semplice che è difficile a fare”).
Segue poi Capitalismo che ospita alcuni testi ambientati nella patria del suddetto: gli USA, quelli di Rockefeller e della National Deposit Bank. Dall’America torniamo in Germania con L’imbianchino e la guerra dove troviamo i testi di accusa contro Hitler – l’Imbianchino eponimo che ha imbiancato la “merda”, nascondendola, senza preoccuparsi di riparare la “casa” – e la patria.
Infine in amici, compagni e colleghi si possono leggere una serie di testi per personaggi amici del poeta per lo più morti, ma anche modelli come Villon, per finire una poesia su «io, Bertolt Brecht».
Con la poesia dell’epilogo Brecht si rivolge a noi, lettori del futuro, per giustificare la sua poesia cruda e, per alcuni aspetti, conturbante: ma i suoi erano “tempi bui”, e quella era l’unica poesia possibile («quando / discorrere d’alberi è quasi un delitto, / perché su troppe stragi comporta silenzio!»), una poesia di accusa contro i potenti, ma anche contro se stesso («Ma come posso io mangiare e bere, quando / quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e / manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua? / Eppure mangio e bevo»), perché, rispetto ai suoi poveri eroi, Brecht sta dalla loro parte: non fa loro la lezione, si sforza, semmai, di dire quello che loro direbbero se avessero i mezzi per farlo.
Scelta felice, dicevo, perché, come scrive Asor Rosa nel cappello introduttivo, «noi viviamo i nostri tempi bui come Brecht e i suoi compagni vissero i loro». Le poesie politiche di Brecht allora si staccano dalla contingenza compositiva per assumere un significato di portata ben più ampia, di assoluta attualità. E Asor Rosa vuole sottolineare proprio questo, ripercorrendo l’importanza e la storia dell’influenza di Brecht presso la cultura italiana.
Fra gli anni ’50 e ’60 mostrò la strada per una letteratura antipopulistica, a favore di una militante, filo-proletaria e comunista. Oggi ci dice ancora che «dobbiamo stare uniti e dobbiamo ottenere / che al mondo non ci siano più due specie di uomini». Oggi ci invita ancora a cantare «Avanti, e non scordate / quello che forza ci dà: / in fame o in abbondanza / avanti, ricordate / la solidarietà!».
Poesie politiche di Bertolt Brecht (Einaudi, 2015, pp. XXIV – 304 , 12 euro)
Immagine: George Grosz, A married couple, 1930