Joseph Beuys e Salvatore Scarpitta: due icone del secolo breve ci ricordano le contraddizioni del Novecento, lasciandoci il dubbio che siano arrivate fino a noi…
Borse disseminate a terra, scrivanie traboccanti carte, muri divelti e ingialliti, opere imballate, opere che non ci sono più (“le abbiamo vendute”), giornali appoggiati sulle teche espositive, eccetera, eccetera. Detto così, non sembra salvarsi molto della mostra “Joseph Beuys – Salvatore Scarpitta. Icona per un transito”, alla Galleria Montrasio Arte in via di Porta Tenaglia, a due passi dall’Arena. Eppure questo scenario post-bellico potrebbe quasi suscitare simpatia, o quantomeno, dopo un iniziale disorientamento, incuriosire: per due ragioni almeno.
La prima è che, a fronte di mostre in cui tutto pare eccessivamente lindo e impeccabile, di inaugurazioni in cui l’aria s’affetta come una forma di gruviera seppur accompagnata da qualche bicchiere di prosecco, un po’ di disordinata informalità può anche far piacere. La seconda è che – vuoi casualmente – questo “allestimento” familiare, più da L’appartamento spagnolo che da galleria, sembra sposarsi perfettamente con le opere dei due artisti, che hanno fatto della vita come forma d’arte il loro grido di battaglia. L’immedesimazione è infatti tanto riuscita da richiedere, appena entrati, un certo forzo per capire cos’è arte e cosa non lo è. Tuttavia, superate le incertezze, si riconoscono molte “edizioni limitate” del maestro tedesco, numerate e firmate: serigrafie che lo ritraggono col suo inconfondibile cappello, fotografie ritoccate da minimi interventi pittorici (spesso croci rosse), objets trouvés come bobine, scatole, lampadine, cassette e via dicendo. Dell’artista italoamericano sono invece presenti diverse bende su tavole, tutte evocanti la forma “X”, e Mrs Hyde (Mr Hyde): un paio di sci uniti da una tela, una sorta di barella sulla quale è posta una scarpa nera (una firma-rebus come l’osso di Dosso Dossi?).
Se la vulgata del nostro immaginario ci riporta alle imprese sciistiche di Zeno Colò o agli inseguimenti innevati di James Bond, la versione originale rimanda inevitabilmente ai tragici eventi della seconda guerra mondiale, combattuta da entrambi gli artisti su fronti opposti: in prima linea Beuys, abbattuto (e sopravvissuto) mentre sorvolava la Crimea (sembra che certe scene si ripetano, in questa storia). In seconda linea Scarpitta, intento a recuperare opere d’arte in veste di Monuments Man. Due artisti, quindi, profondamente segnati dall’esperienza della guerra: le loro croci, le loro “X”, nascono infatti da questo trauma particolare e diventano simbolo universale dell’esistenza umana nel mondo: “icona per un transito”.
Segnaliamo infine la presenza dell’artista Andrea Mori nella Harlem room della galleria, una stanza dedicata alle giovani leve dell’arte. Mori ha percorso a ritroso il tragitto che aveva portato Goethe da Innsbruck al nord Italia, raccogliendo campioni vegetali e tracciando a mano mappe dei luoghi. Il dialogo con la natura e il viaggio come metafora esistenziale pongono questo giovane artista di Sondrio in rapporto coerente coi due precedenti veterani.
“Joseph Beuys Salvatore Scarpitta. Icona per un transito”, Galleria Montrasio Arte, fino al 4 aprile 2015
Foto: Joseph Beuys, 3 Ton Edition, 1973-85, fogli di vinile serigrafati