A caccia di nuovi pubblici per le sale, escono i film su Hendrix e Bowie, Jackson e Brown: dove turbolente biografie si sposano a osannate esibizioni
L’autoanalisi “live” di Nick Cave
Nick Cave sul lettino e Jimi Hendrix all’inferno. Difficile la vita della rockstar, almeno a giudicare dalla raffica di uscite che riporta sullo schermo idoli vivi e defunti del rock classico; miti d’epoca come James Brown, celebrato dall’infanzia povera al successo planetario in Get on up di Tate Taylor o Hendrix, maltrattato in un biopic di modesta ispirazione (Jimi: All Is by My Side, scritto e diretto da John Ridley). E se il (musicalmente) sempreverde Michael Jackson ottiene eterna celebrazione grazie a Life Death and Legacy film-concerto postumo di Maureen Goldthorpe, il geniale Nick Cave in 20.000 Days on Earth riflette su ispirazione, filosofia e business, si confessa dall’analista (si, proprio come In Treatment), e dà spettacolo nel trascinante finale del film, dal vivo a Brighton, dopo aver spettacolarizzato la storia della sua vita (figli compresi) grazie all’intelligente complicità di due ottimi video-artisti e documentaristi, Ian Forsyth e Jane Pollard.
Cinema-musica è un binomio da sempre vincente, che parte col primo film sonoro (1927, Il cantante di jazz, dove Al Jolson è un bianco camuffato da nero) e offre poi infinite declinazioni: da Fantasia (Disney+classica) a Nashville (il mondo country visto da Altman), ai film concerto del pop storico (Monterey, Woodstock). Bob Dylan è entrato nel mito anche grazie al sound-track di Pat Garrett & Billy the Kid di Sam Peckinpah, così il cinema lo ripaga con una biografia multipla (Io non sono qui), firmata da Todd Haynes, che ha richiesto ben sei interpreti solo per lui, in diverse età, compresa un’attrice, Cate Blanchett. I grandi film-live della mia generazione, dai Pink Floyd ai Led Zeppelin, da Madonna (spesso anche attrice in proprio, come Mick Jagger) a Nirvana e U2, hanno in realtà anticipato l’attuale boom dei gruppi per teenager, primi tra tutti i One Direction, campioni d’incasso anche in sala (120 mila spettatori, un record assoluto per la musica al cinema). La crisi di pubblico spinge oggi a differenziare molto l’offerta, cercando spettatori diversi, dai giovani fan ai vecchi rockettari, fino ai melomani: anche l’opera e il concerto classico “tirano”, e non poco, al cinema.
L’approccio recente ai divi da stadio oscilla tra oneste (e lucrose) riprese filmate delle loro esibizioni live, magari in location suggestive (come l’Arena di Verona) a pruriginosi film-gossip in cui, secondo un cliché che avrà certo una sua verità ma spesso cinematograficamente suona ovvio, quindi falso, tutto si riduce al vecchio e frusto cocktail sesso, droga e rock’n’roll. Accade così che un assoluto genio della musica come Hendrix venga ridotto a ingenuo, anche un po’ stupido burattino, in mano ad arpie più o meno new age e spacciatori di ogni tipo. Che ricambia ovviamente con ogni tipo di intemperanze, spesso anche machiste. Ma se Jimi fosse stato solo questo, avrebbe composto, in quattro anni, alcuni dei massimi capolavori della storia del rock? (Gabriele Porro)
Due arti che s’intrecciano e si rincorrono
Se ci pensate, anche il cinema muto, in realtà, non era proprio muto. Non c’era silenzio in sala dalla prima all’ultima scena, nemmeno nei primi film. C’era sempre la musica di sottofondo. C’erano sempre uno o più musicisti che suonavano in sala al momento della proiezione e che accompagnavano con le note il racconto, creando anch’essi una narrazione che si legasse in modo indissolubile alle immagini proiettate. Quella tra il cinema e la musica è una lunga storia, una storia di due arti che si accompagnano e si supportano, che si intrecciano e si rincorrono, per creare una completezza artistica che ha dato vita a dei veri e propri cult. Più passa il tempo e più ci allontaniamo dalla colonna sonora come semplice supporto a storie, parole, immagini.
La musica è riuscita infatti a ritagliarsi sempre più spazio negli ultimi anni, passando dal sottofondo al primo piano, grazie all’utilizzo della pellicola per raccontare i successi (e insuccessi) delle grandi rockstar. Dai Beatles che giravano film già negli anni ’60, ai Blues Brothers, fino alle più recenti pellicole che raccontano la vita personale e artistica dei cantanti – da Hendrix a James Brown – o che riprendono le loro esibizioni live, uno fra tutti il celebre film documentario Shine a light di Martin Scorsese, che ha filmato i Rolling Stones in un live al Beacon Theatre di New York. Il cinema negli ultimi anni viene usato come mezzo per raccontare la musica in un’altra prospettiva. Su questo filone usciranno a breve l’auto-bio-pic di Nick Cave e David Bowie is, il racconto della (meravigliosa) mostra nata a Londra, al V&A Museum, che ripercorre la carriera del duca bianco dagli esordi all’ascesa e mostra costumi di scena, opere d’arte, manoscritti originali e tutte quelle idee che hanno portato Bowie alla consacrazione nel mondo della musica. Per segnare ancora una volta che le arti, tutte, convivono da sempre. (Silvia Belfanti)
Nick Cave – 20.000 Days on Earth, di Ian Forsyth e Jane Pollard, con Nick Cave
Jimi: All Is by My Side di John Ridley con André Benjamin, Hayley Atwell, Imogen Poots, Ruth Negga, Andrew Buckley.
Get on up di Tate Taylor, con Chadwick Boseman, Dan Aykroyd, Viola Davis e Octavia Spencer
David Bowie is di Hamish Hamilton
Michael Jackson, Life Death and Legacy di Maureen Goldthorpe