Birø e le sue allucinazioni quanto mai reali

In Musica

Birø ci racconta il suo “Incipit”, un concept album che si sviluppa nel lasso temporale di una serata, sui dialoghi tra il cervello, l’inconscio e l’immaginazione di un ragazzo qualunque

Chi uscendo una sera non ha mai bevuto qualche bicchiere di troppo? Chi dopo averlo fatto non ha mai iniziato a farsi dei film mentali su quello che gli succede attorno? Su una bella ragazza? Chi non l’ha mai fatto anche da sobrio? Nessuno.

Ecco, se siete parte di questa moltitudine di “Nessuno”, vi potrete ritrovare nelle parole e nella musica di Birø, eclettico cantante varesino classe ’90, che sposa per il suo primo EP Incipit un sound elettronico con influenze di vario genere, dalla new wave all’hip hop per poi spingersi fino al funky.

Incuriositi dalla particolarità del suo sound, abbiamo posto a Birø qualche domanda sui suoi prossimi progetti, sul suo disordine interiore, sui video che accompagnano le tracce dell’EP e sulle paure della sua generazione.

Birø, un nome curioso soprattutto per l’aptang finale (che poi ritroviamo nel brano Invernø). Da dove viene?
Il nome deriva proprio dalla penna. È stato il mio primo strumento, scaricare su un foglio ciò che mi immaginavo mi ha sempre dato moltissimo, quindi diciamo che il nome è una sorta di tributo. L’aptang finale invece è un riferimento all’elettronica del Nord Europa che nel tempo mi ha introdotto a questo genere e mi ha influenzato moltissimo.

Incipit possiamo definirlo un concept album di 5 pezzi. Ci racconti da dove nasce l’esigenza di questo percorso?
Nasce dalla necessità di fornire una coerenza alle canzoni. L’elettronica è un genere bellissimo ma molto pericoloso, si rischia di divagare essendoci milioni di strade percorribili. Poi c’è anche la questione dei testi che possono avere lo stesso destino. Sviluppare un concept mi ha aiutato a restare sui binari e non divagare.

La copertina dell’EP mi ricorda molto, per citare una serie più che mai attuale, le atmosfere di Twin Peaks. Cosa vuole rappresentare quell’ombra sullo sfondo?
In realtà è un semplice dinosauro che cammina sullo sfondo, a cui però ho dato dei significati molto personali. Nella mia lettura rappresenta un po’ l’immaginazione. Il paesaggio è molto tetro e cupo, avvolto nella nebbia. Inizialmente uno pensa che sia solo una foto, poi se sta a guardare meglio vede questo dinosauro che è immenso e sembra essere padrone assoluto di quelle terre. Un po’ come l’immaginazione contro la mente.

Parliamo di Lupi;  in questa canzone si parla di paure che tutti noi ci troviamo a dover affrontare. Immergendosi nella canzone sembra di essere noi stessi persi in una foresta, con gli scricchiolii della terra sotto i piedi, inseguiti da una cavalcata elettronica che ricorda la corsa dei lupi in branco. Ma chi sono i lupi, o meglio… cosa sono?
I lupi sono le paure. La foresta rappresenta da sempre il luogo in cui l’uomo affronta se stesso. Pensa alle favole dei fratelli Grimm. Una volta usciti però si può essere vinti o vincitori e i lupi sono ciò contro cui bisogna battersi. Poi nello specifico penso che ognuno possa trovare il suo significato personale.

Il video di “Invernø” descrive l’abbandono e la ricerca di una ragazza con il suo orsacchiotto bianco in fiamme. Come si coniuga in rapporto alla canzone?
Ho sempre pensato che l’orsacchiotto rappresenti un po’ i sogni infranti. La protagonista è una ragazza che si ritrova nel mondo della prostituzione perché “costretta” dagli eventi della vita e si porta dietro questo orsacchiotto che potrebbe tranquillamente essere il suo peluche preferito da bambina. L’orsacchiotto secondo me rappresenta il momento della disillusione.

Come nei film degli anni 50 o come nei film mentali che si creano nella testa?
Entrambe le cose. La canzone parla proprio di un gigantesco film mentale girato in bianco e nero con una colonna sonora funky – hip hop. Da una parte c’è l’immaginario dei film romantici, dall’altra le aspettative di un ventenne mentre si innamora…durante una sera…non proprio sobrio.

È che cresco e non mi sento più granché a mio agio con me, vorrei fosse più semplice addormentarmi come fanno gli altri, come fanno tutti, chiudere gli occhi e poi riposarmi nel mio disordine” è una frase che potrebbe essere portata avanti come bandiera di una generazione che non ha più punti di riferimento. Ti riconosci come membro di questa massa?
Sì. Come ho detto prima i testi derivano dalla mia esperienza e la mia esperienza è parte di quello che vive la mia generazione. Indubbiamente ne faccio parte, non saprei dire poi se le mie frasi siano bandiere ma se c’è chi si riconosce vuol dire che qualcosa in comune abbiamo e che facciamo parte della medesima massa.

Cantautorato ed elettronica. La domanda sorge spontanea, chi sono i tuoi principali riferimenti musicali nei due ambiti?
Direi Guccini, De André e Dalla sul cantautorato, Moderat, Jamie XX e Four Tet per quel che riguarda l’elettronica. Anche se in realtà gruppi come gli Strokes e gli Alt J mi hanno influenzato moltissimo. In Italia poi i Subsonica, Iosonouncane e I Cani hanno avuto un grande impatto su di me.

Incipit ti ha permesso di esibirti già in molti locali famosi, tra cui spicca la partecipazione al MiAmi. Che esperienza è stata salire su quel palco? Hai in serbo nuove sorprese nel prossimo futuro?
È stato incredibile, non riuscivo proprio a crederci. Cinque anni fa ci entravo per la prima volta tra il pubblico e quest’anno invece ero lì a cantare i miei pezzi. È un’esperienza galvanizzante. Per il prossimo futuro ci sono un moltissime idee che ci piacerebbe sviluppare, probabilmente cominceremo a lavorare a qualcosa verso ottobre, ma per ora siamo concentrati sul momento.

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