Scott Cooper porta sullo schermo le ambigue, criminali imprese di Jimmy Bulger e dell’Fbi a Chicago, anni 70: un’ottima prova d’attore in un film essenziale
“Non conta cosa fai, ma quando e come lo fai. E a chi lo fai. E con chi lo fai. Se nessuno vede, non è successo”. Così come la vita gli impartisce dure lezioni, giorno dopo giorno, allo stesso modo Jimmy tenta a sua volta di istruire suo figlio di sei anni, ripreso a scuola per aver colpito in pieno volto un compagno di classe. È questo lo scenario che fa da sfondo a Black Mass – L’ultimo gangster diretto da Scott Cooper, in cui l’incarico di calarsi totalmente nei panni del protagonista, calvizie e denti malandati compresi, spetta a Johnny Depp, trasfigurato in un incredibile Jimmy “Whitey” Bulger, nome tra i più ingombranti sulla lista dei ricercati storici dall’FBI, superato solo, anni dopo, da Osama Bin Laden.
Gelido e spietato negli affari, leggermente più umano con i propri affetti, questo “bravo ragazzo” irlandese vantava una fedina penale spaventosa: dal traffico di stupefacenti alle frodi, dal racket a un incalcolabile numero di omicidi. Un gangster cresciuto giocando a guardie e ladri a “Southie”, il quartiere più degradato della Boston anni Settanta. Italiani brava gente? “Preferiamo aver a che fare con gli irlandesi”, rispondevano i servizi segreti americani: e per riuscire a liberarsi dei boss di Cosa Nostra, potentissimi nel Massachussetts, l’Fbi scelse di collaborare proprio con Bulger, offrendo in cambio di alcune soffiate e lavori sporchi, la promessa di chiudere un occhio sui crimini commessi. E consolidando così il suo impero.
Oltre a offrire agli appassionati del genere tutte le peculiarità del gangster movie, il film è un’occasione per far conoscere le strade, invecchiate di qualche decennio, della Boston anni 70-80, che disvela la variegata realtà della grande città americana, e il degrado delle periferie alla “Southie”.
Ma veniamo al punto: come se l’è cavata Johnny Depp? Certo, è meglio accantonare il ricordo di personaggi come il Cappellaio Matto, Willy Wonka e Jack Sparrow. Da qualche tempo, infatti, lui sembra essere diventato allergico ai ruoli drammatici, così lontani dalle sue celebri e molto amate espressioni cartoonesche, certamente adatte all’universo Disney&Burton, ma che purtroppo sono state ormai troppo sfruttate, tornando identiche e puntuali in troppe pellicole. Stavolta Johnny, grazie al suo indiscutibile magnetismo e attraverso un eloquente linguaggio del corpo, porta sul grande schermo un ritratto agghiacciante e fedele della schietta durezza, della lucida crudeltà del vero Whitey Bulger. È un piacere vederlo strangolare traditori e eseguire sessioni di allenamento con una ferocia tanto realistica.
Non da meno sono le interpretazioni del potente fratello senatore di Jimmy, Billy Bulger interpretato da Benedict Cumberbatch e dello spericolato agente dell’FBI John Connolly (Joel Edgerton) incaricato di condurre la discutibile, pericolosa alleanza con il gangster. Una regia pulita e ben calibrata, che come la dura legge della strada non concede inutili perdite di tempo, attraverso il giusto bilanciamento tra azione e dialogo. Astenersi spettatori facilmente impressionabili.