Siamo alla quinta puntata della rubrica “Milano e i suoi architetti”: ogni mese, un ritratto dedicato a un grande dell’architettura del Novecento che ha legato la sua vita e la sua opera a Milano. Oggi è il turno di Piero Bottoni, architetto e urbanista che a Milano ha costruito una montagna e le ha dato il nome di sua moglie.
“Inventore di montagne e di magnifiche costruzioni popolari”: con queste parole Fernand Léger, poliedrico avanguardista francese, definì Piero Bottoni (1903-1973), protagonista del Razionalismo milanese e figura centrale della ricostruzione. Come i più grandi architetti della sua generazione, anche l’attività di Bottoni spaziava con disinvoltura tra design e architettura, tra restauro e urbanistica. È però in quest’ultima disciplina che investì il suo talento in modo più evidente e la natura corale del progetto urbano ha fatto sì che il suo nome non raggiungesse il grande pubblico, a differenza di quanto accaduto con i principali attori dell’architettura milanese di quegli anni.
Il nome di Piero Bottoni, infatti, è una costante nei cartigli dei più significativi piani urbanistici elaborati in Italia a cavallo della guerra: nel 1937 partecipò insieme ai BBPR alla proposta di piano regolatore per la Valle d’Aosta, promossa da Adriano Olivetti. Si trattava di un progetto visionario che aspirava a ridisegnare la vita e l’economia delle Alpi con i principi rivoluzionari dell’architettura moderna. Il piano per la valle d’Aosta rimase sulla carta ma l’esperienza maturata in quel contesto valse a Bottoni un ruolo importante nel dibattito che sarebbe seguito a Milano di lì a pochi anni. A differenza di quanto accaduto per altre città italiane, i bombardamenti alleati su Milano avevano un valore politico più che strategico. L’intento, infatti, era quello di abbattere il morale della popolazione, andando a colpire interi settori della città, senza obiettivi precisi. Nel 1943 Salvatore Quasimodo scriveva: “Invano cerchi tra la polvere, / povera mano, la città è morta”. Già nel 1944, Piero Bottoni era impegnato nella stesura del piano A.R. (“architetti riuniti”) per Milano e la Lombardia, un momento fondamentale per il dibattito sulla forma che la città ambrosiana avrebbe assunto dopo la guerra.
Anche il piano A.R. non sarebbe stato implementato ma fu proprio nel contesto drammatico di quegli anni che nacquero i due interventi più importanti legati al nome di Piero Bottoni: il “Quartiere Triennale 8” e il monte Stella.
Il QT8, costruito tra il 1945 e il 1950 sarebbe divenuto il prototipo per tutti gli interventi che seguirono nelle periferie delle città italiane nel Dopoguerra. Il successo del quartiere, costruito appunto in concomitanza con l’ottava Triennale di Milano, è dovuto a una serie fattori: per la prima volta in Italia, veniva edificato un settore urbano che facesse ricorso alle teorie urbanistiche del Movimento Moderno. Gli edifici sono disposti a spina di pesce e spesso presentano facciate a fisarmonica, in modo da evitare che le strade siano costrette tra due cortine parallele, come accade nelle città storiche. L’intenzione era quella di aprire lo spazio facendo ricorso a prospettive diagonali, mentre generosi spazi verdi si frappongono tra le palazzine. Una serie di edifici pubblici fu inoltre prevista per fornire un certo grado di autonomia al quartiere. Purtroppo però la maggior parte di questi rimase sulla carta, riducendo il QT8 a un quartiere-dormitorio.
L’esperimento del QT8 si pone alla fine di una lunga storia che trova i suoi natali nel manifesto per la città-giardino di sir Ebenezer Howard, pensatore inglese che già alla fine dell’800 contestava la natura opprimente della città industriale e proponeva la creazione di nuovi tessuti urbani che incorporassero i vantaggi della vita cittadina con la qualità degli insediamenti rurali. Tra le due guerre le idee di Howard furono oggetto di dibattito tra i protagonisti dei CIAM, i congressi internazionali di architettura a cui Bottoni prendeva parte attivamente. Il QT8 è dunque figlio di cinquant’anni di ricerca architettonica al quale Bottoni contribuì con elementi di originalità, in particolare nella scelta dei materiali e nel linguaggio dei volumi, tutti diversi ma accomunati da uno spirito comune.
Il “Quartiere Triennale 8” è il più significativo intervento urbanistico italiano precedente al 1949, anno in cui fu approvata la legge Fanfani, che portò alla creazione del piano INA-casa, pensato per supplire alla mancanza di appartamenti, contribuendo contemporaneamente alla ripresa secondo il principio del “volano keynesiano”.
Il Monte Stella, pur non essendo un’architettura nel senso stretto del termine, merita qualche parola in quanto frutto dello stesso contesto e del medesimo progettista a cui dobbiamo il quartiere. Dopo i bombardamenti, le macerie degli edifici distrutti furono raccolte provvisoriamente in diversi spazi della città, per poi essere depositate in alcuni siti periferici. Tra questi, c’era lo specchio d’acqua che aveva riempito una vecchia cava di ghiaia presso il nascente QT8. Piero Bottoni aveva immaginato il lago come parte integrante del suo intervento urbano ma, data la necessità di smaltire i detriti, ebbe l’intuizione di trasformare l’enorme cumulo di macerie in una vera e propria montagna. Nonostante quarantacinque metri siano un’altezza modesta per un monte, il sogno di Piero Bottoni merita certamente questo appellativo, se non altro per la sua valenza simbolica e per la sua prominenza nel panorama di una città senza rilievi e senza fiumi. Il monte prende il nome dalla moglie di Bottoni ed è l’immagine della città che riesce a fare i conti con un passato di distruzione e si prepara a voltare pagina. Grazie al sogno di Bottoni, la “città morta” di Quasimodo è rinata e oggi vede una nuova vita crescere sopra le proprie stesse macerie: grazie a vent’anni di lavori, il monte Stella è ora un angolo di natura tra i preferiti dai Milanesi.
L’esperienza della periferia nord-ovest è da sola sufficiente a dimostrare la statura di Piero Bottoni. Anche all’interno della città, però, non mancano esempi del suo operato. Palazzo Argentina è un edificio polifunzionale realizzato su corso Buenos Aires tra il 1947 e il 1951. Il complesso consiste in uno zoccolo dove trovano posto le funzioni commerciali, sovrastato da una torre di appartamenti. Per questo progetto, Bottoni si trovò a lavorare insieme a Guglielmo Ulrich, progettista di fiducia del committente. Il risultato è un edificio che denota una discreta abilità compositiva ma che tradisce la forza del progetto iniziale di Bottoni, che prevedeva, tra le varie cose, una galleria commerciale a crociera e un trattamento delle facciate più elegante e moderno.
Concludiamo il nostro breve percorso con un edificio che invece esprime in pieno la sensibilità di Bottoni: si tratta del palazzo INA di corso Sempione, costruito tra il 1953 e il 1958. Si tratta di un volume semplice e imponente che guarda ad altri progetti milanesi di quegli anni, come le case per studenti di Luigi Moretti. Nell’intenzione del progettista, l’ultimo piano avrebbe dovuto essere completamente vetrato e avrebbe ospitato spazi accessibili a tutta la comunità, riprendendo in questo la lezione dell’ultimo Le Corbusier. Bottoni, però, è ancora una volta capace di prendere le mosse dai propri modelli per approdare a soluzioni innovative, con l’elaborazione, tra le varie cose, di una facciata sud molto originale. I balconi sono organizzati a fasce verticali leggermente oblique, che dissimulano la dimensione della palazzina e donano alla composizione movimento e tensione verticale. La facciata nord non è da meno: se osservato da questo lato, l’edificio ha una presenza molto scultorea e si presenta come quattro torri accostate. In entrambi i casi, la ricchezza dei dettagli e il sottile gioco delle superfici dimostrano l’intelligenza di Bottoni applicata alla scala del dettaglio architettonico.
Forse quello di Piero Bottoni non è il primo nome che ci sovviene quando pensiamo all’architettura milanese del Dopoguerra, tuttavia il suo contributo alla città è tra i più importanti e tangibili. Negli anni Cinquanta, i grandi architetti meneghini erano impegnati a costruire la città del futuro: la corsa al grattacielo era iniziata. Nel frattempo, però, qualcuno pensava anche a cosa fare delle vecchie macerie: Piero Bottoni urbanista, architetto, designer, costruttore di montagne.
Immagine di copertina: 1963, sullo sfondo, l’elegante facciata sud della palazzina di corso Sempione 33 – Fondo Paolo Monti