Sette tracce, 41 minuti volti all’eternità. Questo è in sintesi l’ultimo album di David Bowie. Ancora una volta sorprendente. Per non farsi dimenticare
Ho sempre pensato che David Bowie fosse immortale, più vivo della vita stessa, fuori dal mondo, più avanti della razza umana. La morte non cambia nulla: è solo un’altra delle sue metamorfosi. Con l’ultimo album ★ Blackstar, Bowie si è spinto dove nessun altro potrebbe: ha fatto della sua morte un’opera d’arte. Ancora sperimentando, reinventando generi, personaggi, storie, fino alla fine.
In soli cinque giorni di vita, Blackstar ha già subito una metamorfosi. La mattina dell’11 gennaio 2016 ha cambiato completamente la natura del disco agli occhi del pubblico. Alla luce degli eventi di lunedì mattina, sappiamo che l’esplorazione di temi come la morte e la religione che dominano Blackstar è tutt’altro che meramente filosofica. E se questo è tipico di Bowie – più lo ascolti, più si scoprono nuovi livelli e dettagli nel suo lavoro – questa volta avremmo preferito non scoprire proprio questo significato.
Conoscendo la grande maestria e il controllo creativo che Bowie esercitava sulla sua arte, è impossibile non pensare che lui avesse immaginato Blackstar come un testamento, un ultimo messaggio – come ha infatti confermato il suo produttore Tony Visconti. Sette tracce, 41 minuti volti all’eternità.
He always did what he wanted to do. And he wanted to do it his way and he wanted to do it the best way. His death was no different from his life – a work of Art. He made Blackstar for us, his parting gift. I knew for a year this was the way it would be. I wasn’t, however, prepared for it. He was an extraordinary man, full of love and life. He will always be with us. For now, it is appropriate to cry.
Posted by Tony Visconti on Lunedì 11 gennaio 2016
Blackstar si presenta minimale e visuale: senza il sottotitolo in lettere, il disco diventa pura icona, simbolo, effigie celeste; eppure, dietro all’icona, si cela uno degli album musicalmente e liricamente più complessi e ambiziosi della carriera del maestro. E questa è un’immagine adatta per riassumere la carriera di Bowie: dietro l’icona, le idee, la visione.
E proprio tra visione e revisione sta la prima traccia, Blackstar, in cui un Bowie profeta, come a volersi autodefinire sopra le innumerevoli personalità che ha incarnato nella sua carriera, richiama a sé il ruolo di blackstar, stella nera, icona degli outsider, luce buia e tagliente, profeta dell’anticonformismo.
‘Tis a Pity She Was a Whore, titolo che riprende una pièce teatrale di John Ford, comincia a far sentire la fortissima influenza jazz che è la cifra musicale principale di questo disco. I fiati sono frenetici, postmoderni, il tutto accentuato da batterie pulsanti e taglienti, che si dimenano per capire, cercare un senso nella fine imminente. Lazarus è a mio parere una delle canzoni più interessanti mai prodotte da Bowie – e lo è, ancora di più, alla luce dei nuovi fatti. In un monologo quasi beckettiano, incarnando un personaggio che non sa se si trova in vita, morte, o limbo – perfettamente catturato dal video – Bowie qui sembra proprio volerci avvisare di ciò che sta per succedere. Difficile non commuoversi, ora, nel rileggere questi versi:
Look up here man, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen
I’ve got drama, can’t be stolen
Everybody knows me now
Sue (Or in a Season of Crime) e Girl Loves Me continuano le sperimentazioni, tra suoni duri e metafore criptiche – particolarmente in quest’ultima, che prende spesso in prestito il linguaggio inventato da Arancia Meccanica di Anthony Burgess, una delle grandi ispirazioni letterarie di Bowie.
Nella chiusura del disco, tutta la frenesia dell’arrivo della fine cristallizza in due momenti di pura visione: Dollar Days, tra assolo di sax e pianoforte, sembra considerare l’atto della performance, il significato di stupire tutti e “ingannarli ancora e ancora” – o, almeno, ancora una volta – attraverso l’arte.
I Can’t Give Everything Away è un’altra riflessione sulla sua arte, che non può risolversi in semplici spiegazioni, anagrammi, o immagini – Bowie non può e non vuole risolvere il proprio, meraviglioso, mistero. Questo rimane a noi, per sempre, da venerare.
David Bowie Blackstar (Columbia)