Branciaroli e Orsini, due amici separati dall’intonazione di una frase

In Teatro

FOTO © AMATI BACCIARDI

Con la regia di Pier Luigi Pizzi, Franco Branciaroli e Umberto Orsini portano in scena (al Teatro Grassi) una pièce di Nathalie Sarraute, nome di punta dell’“école du regard”: il confronto tra due amici di lunga data che, a causa dell’ambiguità di un’intonazione, si allontanano

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Due personaggi che non hanno nome (nel testo di Nathalie Sarraute sono indicati semplicemente come H1 e H2 – H sta per “Homme”) dialogano, e si scontrano, sulla loro amicizia e su quello che sembra averli allontanati uno dall’altro. H1 (ovvero, in questa messa in scena, Franco Branciaroli) chiede ad H2 (Umberto Orsini) per quale motivo, da tempo, non si faccia più sentire. La spiegazione, a sentire il secondo, starebbe nell’intonazione con cui il primo avrebbe pronunciato una frase apparentemente banale (“ah, bene… è così”).

Da qui i due iniziano a vivisezionare il significato profondo di quella intonazione (c’era della “degnazione”?) e di tutto quello che le sta attorno, chiedendo un parere anche a una coppia di conoscenti (che nel testo della Sarraute sono vicini di casa che intervengono di persona e che qui sono invece interpellati via Internet). A momenti sembrerebbe che tra i due protagonisti possa avvenire un ravvicinamento e che la solidità di un lungo legame possa avere la meglio rispetto alle momentanee incomprensioni, ma il solco che quell’intonazione ha scavato sembra alla fine diventare incolmabile.

Come tutta l’opera narrativa e teatrale di Nathalie Sarraute, anche questa pièce, che in Francia gode di grande reputazione e conta numerosi allestimenti (Simone Benmussa, Jacques Lassalle, ecc.), è incentrata sul tema del linguaggio, sulla sua complessità e le sue ambiguità e sulla (im)possibilità di comunicare con gli altri, di conoscere veramente quel che l’altro vuole e intende.

In un’intervista che è facilmente rintracciabile su Internet, l’autrice di questa piéce dice di essere molto sensibile al modo in cui le parole dei suoi testi vengono recitate, al loro suono ma di non essere in alcun modo “visuale”: “sono incapace di immaginare in anticipo i movimenti sulla scena”. In riferimento specifico a Pour un oui ou pour un non, aggiunge quindi di non aver dato indicazioni sceniche precise: tutto è dunque lasciato all’iniziativa e alla libertà del regista. “È il metteur en scene che ha l’obbligo di fare tutto ciò”.

Tra le scelte che caratterizzano la messa in scena diretta da Pier Luigi Pizzi la più significativa mi sembra quella che avviene nel finale, quando il testo, senza dare indicazioni sceniche, prevede che i due protagonisti pronuncino, rispettivamente, un “Oui” e un “Non” che sanciscono la loro distanza. Nella trasposizione televisiva che venne realizzata nel 1990 da Jacques Doillon, Jean-Louis Trintignant (H1) e André Dussolier (H2) pronunciavano queste parole sedendo fianco a fianco sul divano con modi cortesi, ma anche con una perentorietà che suggeriva l’impossibilità di una qualsiasi reale intesa e comunicazione tra di loro. Ben diverso è quel che avviene nello spettacolo visto al Teatro Grassi di Milano: il padrone di casa, H2, pronuncia il suo “No” con rabbia mentre, col cuscino, soffoca l’amico semiaddormentato sul divano. Un colpo di scena che potrebbe apparire eccessivo ma che acquista un suo significato se messo in relazione col fatto che, poco prima, i due personaggi avevano compiuto un movimento speculare a quella iniziale: H1 aveva preso il posto di H2 disteso sul divano e H2, come aveva fatto inizialmente H1, aveva compiuto il tragitto che dall’ingresso l’aveva portato all’interno del grande studio tappezzato di libri dove si svolge l’azione. La specularità suggerisce che, in realtà, i due personaggi potrebbero essere intesi come due voci di un dialogo interiore.

La stessa autrice, del resto, nell’intervista già citata, adombrava questa possibilità di interpretazione, dicendo che i due personaggi potrebbero essere, al limite, una stessa persona che, come tutti, ha in sé tendenze contraddittorie che lottano al suo interno. La considerazione del confronto tra H1 e H2 come un dialogo interiore tra due facce di uno stesso personaggio resta però solo una delle possibili interpretazioni di un testo che, sfiorando in alcuni momenti i territori dell’assurdo, resta aperto a una stimolante pluralità di letture e che Branciaroli e Orsini rendono teatralmente vivo e coinvolgente.

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