La capitale francese sotto lo sguardo di Brassaï è bella di notte, di giorno, nei bordelli e nei parchi. 260 fotografie in una mostra (un po’ caotica) a Palazzo Morando
Il primo ricordo che Brassaï (1899-1984), nome d’arte dell’artista ungherese Gyula Halász, ci regala di Parigi, dove visse e lavorò, dal gennaio 1924, per oltre cinquant’anni come scrittore e fotografo, risale a quando, di anni, ne aveva quattro. Intervistato alla fine della sua vita, disse di conservare di quella città tre immagini sovrapposte: «Quella dei primi dieci anni del Novecento – la Parigi di Marcel Proust –, quella della Parigi del 1924 – all’inizio del soggiorno che si rivelerà definitivo», e quella della Parigi eterna.
Anche io, che non ci ho mai vissuto, ho tre ricordi della capitale francese. Uno d’infanzia, di una Parigi fredda e ventosa di cui non riuscii ad apprezzare quasi nulla,; uno che risale alla gita dell’ultimo anno di liceo: la classe decimata negli anni da greco e latino, i professori sbagliati e la pioggia mi confermarono che Parigi era un posto infernale, di cui salvare solo Montmartre e l’arte che avevo incontrato per la città. Masticata, digerita, archiviata.
Eppure, – ed ecco il terzo – la Parigi che vedevo nei film e in tante fotografie di altre epoche, comprese quelle di Brassaï, riusciva a sembrare bella e decisamente diversa da come io la ricordavo. Così ci sono tornata. Sarà che ero innamorata: la pioggia si è trasformata in un piacevole imprevisto che rendeva più lucida la superficie della città; l’arte e i suoi palazzi in delizie di cui non riuscivo a esser sazia; il francese in una lingua musicale e i parigini in gente quasi cordiale. Alla fine, ho ceduto anche io al suo fascino.
Certo, i ricordi registrati in bianco e nero da Brassaï, in mostra a Palazzo Morando con le 260 fotografie di Brassaï. Pour l’amour de Paris fino al 28 giugno, hanno un sapore molto più interessante dei miei: guidato dalle impressioni di Marcel Proust e dalla compagnia di Desnos e Prèvert, che lo introducono nell’ambiente dei più grandi artisti e degli intellettuali degli Années Folles (1920 e oltre) di Parigi, inizia a raccontarne luci e ombre. È intento a studiare «come vive e si muove Parigi, ma anche come gli uomini si muovono con lei», annota in una delle prime lettere ai genitori nel ‘24, mentre per mantenersi scrive per giornali ungheresi e fa caricature, sfruttando tutta l’abilità acquisita nelle scuole d’arte di Budapest e Berlino.
Dal 1929 accompagna il lavoro giornalistico con la fotografia e la pubblicazione di Paris de nuit (nel 1933) lo consacra al mestiere. Buona parte della mostra è dedicata a questo lato della sua produzione, che racconta i locali notturni di Parigi, i bordelli, gli amanti e il popolo della notte, i graffiti primitivi sui muri della città e le piazze deserte. Nel 1932 conosce Picasso, che gli affida il compito di fotografare il suo lavoro di scultore e intanto continua a raccontare Parigi, non solo durante le sue passeggiate notturne, ma anche de jour, alla luce del sole: dai monumenti innevati d’inverno ai lettori solitari in mezzo ai parchi, dalle corse dei cavalli, alle chiatte dei pescatori lungo la Senna, fino agli studi dei suoi amici artisti, come Dalì e Man Ray, si fa «saccheggiatore di bellezze di ogni tipo».
In questa mostra, la curatrice Agnès de Gouvion Saint Cyr e Philippe Ribeyrolles, nipote del fotografo e responsabile dell’archivio omonimo, sono riusciti a dispiegare un panorama decisamente completo della fotografia di Brassaï a Parigi. C’è anche un accenno alla passione per il cinema dell’artista, confinata in un piccolo spazio dietro alla parete nell’ultima sala, dove uno schermo offre a ripetizione il suo primo e ultimo cortometraggio, Tant Qu’Il y Aura Des Bêtes (1956). Peccato soltanto che il buon intento di un filo tematico delle sale, che ben si realizza nel catalogo Alinari che trovate all’ingresso, non riesca troppo bene a seguirsi nel percorso della mostra.
Brassaï. Pour l’amour de Paris, Palazzo Morando fino al 28 giugno 2015
Foto: Brassaï, Veduta notturna su Parigi da Notre-Dame, 1933/34, © Estate Brassaï