Quanto costa la Pinacoteca di Brera? Come viene gestito il suo grande patrimonio artistico? E la sua promozione? Quanto si spende per le mostre?
Che l’attività di un museo funzioni bene oppure no, non è poi così difficile capirlo: basterebbe qualche volta visitarlo, consultarne il catalogo e andare a vedere le mostre che propone. Le cose iniziano a complicarsi non appena si cerchi di capire, del museo, quali siano realmente i costi, i ricavi, quale la spesa, insomma, qualora si voglia tracciare un bilancio.
In genere, di fronte a queste specifiche domande, i diretti interessati affinano il metodo “Supercazzola”, ovvero declamano rovine, annunciano grandi eventi, promettono migliorie ma ciò che risulta ed emerge, quando le cose vanno bene, sono poche scialuppe di onestà in un mare di emerite cazzate.
A dare il buon esempio, ci ha pensato ora la Pinacoteca di Brera che sposando un progetto dell’associazione Civicum, insieme alla Soprintendenza e alla collaborazione di Boston Consulting Group, si è messa a nudo in un documento di bilancio e rendiconto economico pubblicato sul web in pronta consultazione.
A questo punto possiamo dunque immaginare la direttrice Sandrina Bandera, come un mezzo busto del telegiornale dare ai cittadini, carte alla mano, prima della fine dell’anno, molte delle risposte su come funziona la sua, la nostra Brera, (intesa nel testo come l’insieme di Soprintendenza, Pinacoteca e Museo della Certosa di Pavia). I ricavi del 2013 sono stati 2.372.817 euro, ancora troppo inferiori rispetto al volume della spesa pari a 10.436.156 euro. Nello specifico, per le entrate, la parte del leone è rappresentata dalla vendita dei biglietti mentre per le uscite è il costo del personale a gravare sul bilancio.
Alcune voci suscitano perplessità, come il 49.380 euro annui che in media prende il “personale di vigilanza”: ora, riesce difficile pensare che il personale di sala guadagni cifre simili, e allora chi è, tra i 113 vigilanti, che alza così tanto la media? Oppure, come è possibile che si spendano 335.544 euro di acqua (pur considerando l’orto botanico)? E, più in generale, siamo sicuri che su un ricavo di poco più di 2 milioni, sia normale darne oltre 500.000 al “concessionario” Skira, che si incarica di cataloghi, bookshop, accoglienza, audioguide, organizzazione delle mostre e biglietteria? Perché il museo non può provvedere da sé (talvolta sperando in un po’ più di qualità) a questi impegni?
La strada per il miglioramento, insomma, è lì da venire ma bisogna riconoscere che a fronte di questa iniziativa i buoni propositi ci sono tutti. Bene così, quindi. Tuttavia, adesso che si è data a tutti la possibilità di leggere da dove provengono i soldi, ci si vuol augurare che le mostre realizzate con questi proventi vengano pensate diversamente da quelle piuttosto esigue che hanno aperto (Giovanni Bellini) e chiuso (Bramante) questo 2014.