Brexit: conversazioni sull’anima inglese nell’incerta vigilia

In Letteratura, Weekend

Cosa ha perso e cosa vuole l’Inghilterra che ha votato Leave, quali sono le linee di frattura sociali e culturali che il referendum ha portato brutalmente alla luce? Nella settimana cruciale per Brexit la lettura di un libro – ‘Il Taglio’ di Anthony Cartwright che a Book Pride viene presentato dal suo autore – e una discussione con amici inglesi per cercare di capirne di più

In una delle settimane cruciali per Brexit, dopo l’ennesimo voto parlamentare contro l’accordo di Theresa May e con un senso ormai ben noto di incertezza sui destini della relazione con l’Europa, mi trovo a riflettere sul carattere, profondo e non semplice da decodificare, di questo paese che ormai da più di cinque anni chiamo casa. E lo faccio rivolgendomi alla letteratura – The Cut  ultimo  e recente romanzo di Anthony Cartwright, tratta di Brexit e delle divisioni  che attraversano la società inglese – e with a little help from my friends, ovvero Alex B. e Jeremy L., compagni di dottorato, giovani attenti alla politica, che, prestandomi la loro conoscenza  di autoctoni, mi faranno da guida in un mondo che, oltre i confini di Londra e oltre gli ambienti che ruotano intorno alle sue università,  resta per me ancora in larga parte ignoto.

Il romanzo
The Cut, uscito in Italia a gennaio per 66thandthe2nd con il titolo Il taglio  (oggi a Book Pride alle 17 l’autore Anthony Cartwright dialoga con Carlo Annese) è, anche, un esperimento editoriale interessante. È il secondo di una serie di romanzi commissionati dalla casa editrice Peirene a scrittori e scrittrici per trattare i grandi temi dell’attualità sociale e politica, da Brexit alla crisi dei rifugiati. Anthony Cartwright, classe 1973, è una voce relativamente giovane della letteratura inglese, originario delle West Midlands un tempo industriali e minerarie e autore di vari romanzi sulla working class di quelle zone e sulle perdite che negli anni,  ha cumulato. All’indomani del voto su Brexit, l’editrice di Peirene Meike Ziervogel, ormai convinta di vivere in una parte di un paese diviso che poco sa e forse poco vuole sapere, chiede a Cartwright di descrivere e tentare di ricucire quella divisione. Il desiderio di conoscere le ragioni, le speranze e le paure degli ‘altri’ è lo stesso che, nelle settimane che precedono il referendum, spinge anche Grace, la coprotagonista del romanzo, affermata documentarista di una famiglia di intellettuali londinesi, fino a Dudley, cittadina con un passato industriale a nord di Birmingham.  Lì incontra Cairo, ex-boxeur ora operaio a chiamata e  appassionato di storia locale, che si scoprirà poi Brexiter quasi per caso, e che, a differenza di altri, è disponibile a raccontarsi e raccontare i propri luoghi. Tra i due nasce una relazione fatta di scoperta, tenerezza e tentativi di condivisione, ma anche di malintesi, sensi di colpa e rancori.

Il tema cardine dei loro dialoghi è il senso della perdita, perdita non solo percepita, come la descrive Grace, ma reale, come precisa subito Cairo, di sicurezze, opportunità e benessere, ma anche dell’identità e della speranza in quei luoghi dove molti dei lavori tradizionali sono scomparsi insieme alla cultura che li circondava. C’è poi il tema di come la working class di queste zone viene considerata e rappresentata dalle élite e dai media e dell’utilizzo di stereotipi – dal razzismo all’ignoranza – utili alle classi dirigenti per non mettersi in discussione e riflettere sulle ragioni di questo pezzo di Inghilterra e del suo risentimento. In uno dei passaggi più significativi del romanzo Cairo dice: ‘Il punto è che la gente qui ha costruito quello che il nostro paese è poi diventato. Adesso vi comportate – anzi, ci comportiamo – come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi in quello che abbiamo fatto. Il resto del paese si vergogna di noi. In un modo o nell’altro, vorreste che scomparissimo’.
Come in tutti i romanzi riusciti, i due personaggi non sono solo rappresentanti del proprio mondo, ma individui complessi con vissuti personali che si mescolano ai destini collettivi. Il pregio di questo romanzo è proprio questo, quello di dare voce e corpo alla storia di persone e luoghi spesso marginalizzati e di descrivere l’incontro complicato, ma forse non impossibile, tra queste due metà del paese. Raccontare storie per costruire ponti, almeno per chi vuole ascoltare. 

Le molteplici linee di frattura
La divisione sociale descritta da Cartwright è indubbiamente un importante aspetto della società inglese e ha sicuramente giocato un ruolo centrale nell’esito del referendum, ma  leggendo The Cut mi sono chiesta se potessimo davvero parlare di un paese nitidamente diviso in due, di un “noi” e un “loro” chiaramente distinto, di un’unica e netta frattura tra Londra e Dudley. Le mie ‘guide locali’, seppur per ragioni diverse, pensano anch’esse che identificare una sola linea  di divisione non esaurisca il panorama sociale e culturale che il referendum ha, in una certa misura e in maniera brutale, svelato. Conversiamo nella sala comune del nostro Dipartimento al King’s College, sullo Strand di Londra, a pochi chilometri da Westminster: in queste ore, voto dopo voto, a poca distanza da qui sta andando in scena l’incapacità della politica inglese di decidere e trovare un accordo. Secondo Alex – cresciuto tra Northampton e Cambridge, delizioso contegno e riservatezza british, per le mani un progetto di ricerca in cui critica il capitalismo – una delle principali divisioni è quella descritta da Cartwright e questo deve portarci a riflettere su come la crescita delle diseguaglianze e delle differenze nelle opportunità ma anche nelle speranze possano creare serie difficoltà per la vita democratica. Ci sono però – riflette – molte altre ragioni e linee di divisioni, anche molto locali, che emergono guardando alle mappe di distribuzione del voto, come nel caso della Cornovaglia, che, nonostante abbia ampiamente beneficiato dall’essere parte dell’Unione Europea, ha votato Leave in ragione del suo storico spirito autonomista.
C’è inoltre da ricordare – vale in Inghilterra, vale in Italia –  quanto le decisioni di voto vengano a volte prese con una certa leggerezza e sulla scia di suggestioni del momento, invece che sulla base di convinzioni radicate,  e ciò consiglia una certa cautela  nel trarre conclusioni troppo radicali dal voto referendario. Alex sottolinea poi, in coincidenza con ciò che penso, che adottare la narrazione della frattura Londra/Dudley può rafforzare quella logica oppositiva, tinta di odio di classe, che non infrequentemente abbiamo incontrato nelle conversazioni e sulle bacheche Facebook dei nostri amici e conoscenti londinesi e non solo.  
Pur riconoscendo il ruolo delle considerazioni di classe del risentimento dei “left behind”, Jeremy, affabile e aperto londinese di ottima famiglia, innamorato di Londra e con un passato a Eton, ritiene che la divisione fondamentale, che percorre anche, e forse soprattutto, le classi dirigenti inglesi che conosce dall’interno, sia una divisione valoriale. Da un parte la mentalità cosmopolita di Londra e dall’altra un forte senso di appartenenza nazionale. Nel secondo campo convivono parecchie anime, da una più intellettuale  e istruita che invoca i valori della sovranità e rivendica l’unicità della lunga esperienza democratica inglese, accanto ad una più provinciale, anche dal punto di vista geografico, che sente il proprio stile di vita messo in discussione dall’incontro con altre culture e modi di stare al mondo. Molto divertente la sua descrizione dell’ipotetico ma non troppo erede di una qualche famiglia aristocratica alla Downton Abbey indignato dalla possibilità di trovare, alla fine della passeggiata nella sua tenuta, non il classico pub di campagna, ma un negozio halal. Secondo entrambi, poi, la xenofobia, di vari tipi e varie origini, è una forza non più sotterranea che ha giocato un ruolo non secondario nel voto. Interessante, invece, che in una conversazione tra tre giovani  la questione generazionale non sia mai venuta fuori come se, nonostante sia stata un fattore rilevante nella distribuzione del voto, non costituisca  o non venga avvertita come una frattura della società.

Cosa portare a casa da tutto questo? Prima di tutto che occorre parlare  invece che di una singola frattura,   di molteplici divisioni che sono di classe, geografiche, di valori e stili di vita, che assumono più o meno rilevanza a seconda delle esperienze di chi le osserva. E  che bisogna essere consci del pericolo, in terre inglesi ma anche alle nostre latitudini, di pensare ai propri concittadini in una logica oppositiva, esclusivamente come altro da sé. Anche quando le loro scelte ci appaiono irragionevoli, se non assurde oltre che moralmente riprovevoli, è fondamentale cercare di capirne le ragioni e imparare a conoscerne i vissuti e le storie. Invece che sentirsi confermati nella propria superiorità intellettuale e morale, che spesso si combina a quella sociale, bisogna aprirsi all’ascolto che non vuol dire capitolare davanti alle posizioni altrui, ma avere rispetto dell’altro come interlocutore ed essere pronti a prestare attenzione alle ragioni che hanno spinto ad adottare certe posizioni. Ancora più centrale è cercare di comprenderne le difficoltà, le vulnerabilità, le speranze tradite, ma anche i sogni, le paure e i desideri. Ed è proprio a portare a termine questo difficile compito che la buona letteratura, quella che apre il nostro sguardo e  la nostra sensibilità a nuovi mondi, ci può aiutare.    

 

* Davanti a Westminster, Londra , 14 marzo 2019 (Foto di Giacomo Porro)

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