Brutti e cattivi” di Cosimo Gomez, che fin dal titolo cita Ettore Scola ma non dimentica Tarantino e i Coen, è la storia di una banda di rifiuti della natura e della società. Capitanati dal bravissimo Claudio Santamaria detto il Papero (ma ci sono anche il “Merda” Marco D’amore e la “Ballerina” Sara Serraiocco, tutti bene in parte), organizzano una grottesca rapina che dovrà essere la loro rivincita contro il mondo che li ha sempre odiati e vilipesi. Ma il dopo sarà ancor peggio del prima: tutti contro tutti a disputarsi i soldi, anche a costo di ammazzare i compagni dell’unica “impresa” della loro vita
Brutti e cattivi, film d’esordio nella regia per lo scenografo Cosimo Gomez, è una commedia drammatica intrisa di realismo malinconico. Un film bizzarro, una dark story che strizza l’occhio al cinema di genere, un racconto ben confezionato e strutturato, in bilico tra il vero e il verosimile.
In un’Italia di periferia, coloratissima e grottesca, si muove la banda di quattro freaks: il Papero (Claudio Santamaria), delinquente coatto senza gambe, mente del gruppo; il Merda (Marco D’Amore), fattone che sembra vivere in slow motion, capelli rasta, abbigliamento in stile giamaicano, alito pestilenziale; la Ballerina (Sara Serraiocco), la donna del Papero, senza braccia; e per finire Plissé (Simone Martucci), nano con una straordinaria abilità nell’aprire le casseforti. I quattro escogitano un piano per rubare 4 milioni di euro, somma importante con cui dovrebbero riuscire finalmente a riscattarsi da una vita di emarginazione, mancanze, disuguaglianze. La rapina ha successo, ma da quel momento le cose vanno malissimo per tutti, in un’escalation di violenza e colpi di scena.
La prima cosa che colpisce è il modo in cui il film è costruito, la sua architettura scenografica e narrativa. Sin dall’incipit il linguaggio del reale si mescola a quello fumettistico del cartoon, e i protagonisti vengono presentati attraverso delle rapide sequenze fotografiche che hanno lo scopo di tracciare il loro passato, conoscerne l’infanzia, capirne i punti deboli e i desideri. Delle vere biografie, brevi ma essenziali, che raccontano il loro percorso, l’avidità, le ragioni che li spingono a fare la rapina.
La narrazione non è lineare, ci sono salti di tempo che improvvisamente portano la storia avanti di qualche mese, per poi tornare indietro e riprendere il racconto dal punto lasciato in sospeso. E la scelta stilistica di usare delle ellissi temporali capovolge continuamente il punto di vista dello spettatore, al quale è chiaro sin da subito che nel film tutto può succedere e a tutti può accadere di tutto, compreso morire e resuscitare. Il ritmo della narrazione è sempre teso e lo spettatore, coinvolto fortemente nella vicenda di questi antieroi, vuol vedere fino a che punto saranno disposti a spingersi.
Gomez mostra senza sconti quanto la natura può essere severa e spietata con l’essere umano: i protagonisti non sono solo brutti, ma di più, sono storpi fin dalla nascita, quasi mostruosi, eppure ciò che soprattutto spaventa non è la deformità dei loro tratti somatici, quanto quella del loro animo, e l’assenza di qualsiasi impulso morale. Senza pudore, senza sensi di colpa, istintivi come animali, una volta fatto il colpo e messi i soldi al sicuro, questi poveretti cercano di sbarazzarsi l’uno dell’altro, sino ad arrivare a uccidersi tra loro, pur di arricchirsi. Tutto nel film è eccessivo, esasperato: la luce, i colori, la recitazione. E c’è nel regista l’intento di raccontare una realtà talmente sui generis che certe situazioni possono sembrare addirittura assurde: ma di fatto, a un esame più profondo, non è proprio così, perché appaiono soprattutto volutamente crude e ciniche.
Gli interpreti sono bravissimi, spontaneamente scorretti, e hanno il giusto physique du rôle. Claudio Santamaria qui è in uno vero stato di grazia e riesce a interpretare con convinzione un personaggio ripugnante, irritante e sudicio, per il quale lo spettatore prova soltanto disgusto. Ma nessuno dei freaks si salva: schiacciati dall’avidità, restano intrappolati nella rete che loro stessi hanno creato, fatta di inganni e tradimenti. Però, quando uno dei personaggi, per la prima volta, ha uno scatto di generosità verso un’altra persona, riceve in cambio la ricompensa più importante, che non sono solo i quattro milioni di euro o la piscina con l’acqua filtrata, ma l’amore.
Film duro, tragico, brutale, nauseante, osceno, Brutti e cattivi è scritto benissimo e diretto con intelligenza e lucidità: Gomez, forte di una sceneggiatura che ha vinto nel 2012 il Premio Solinas “Storie per il Cinema”, regala un esordio esuberante dietro la cinepresa, lasciandosi influenzare da Quentin Tarantino, dai fratelli Coen e da Robert Rodriguez per la parte visiva, e dalla commedia italiana degli anni 60-70 per la drammaturgia. Contaminazioni preziose, che rintracciamo sin dal titolo, ovviamente un omaggio a Brutti sporchi e cattivi di Ettore Scola.
Brutti e cattivi, di Cosimo Gomez con Claudio Santamaria, Marco D’Amore, Sara Serraiocco, Simone Martucci, Narcisse Mame.